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Anno edizione: 2022
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L'opera postuma di uno dei più grandi autori della sua generazione.
«Scrivere, per quanto atto privo di speranza, o forse proprio per questo, significa aver fede».
L'ultima opera a cui Vitaliano Trevisan stava lavorando, inviata all'Einaudi qualche mese prima di morire. Nella sua brutale, lancinante verità, è forse quella che gli assomiglia di più: interrotta ma non incompiuta.
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Black Tulips (Einaudi, 2022) di Vitaliano Trevisan è un romanzo postumo dello scrittore, registra e drammaturgo vicentino. A metà tra l’inchiesta e la storia personale ci racconta il viaggio che l’autore compie in Nigeria in compagnia di Ade (diminutivo di Adesuwa), una prostituta di Benin City con cui aveva avuto una sorta di relazione in Italia. «Il 55 % delle prostitute in Italia sono straniere e il 36 % di loro è di nazionalità nigeriana. L’85 % delle prostitute nigeriane proviene dalla stessa città: Benin City, l’hub africano della prostituzione. Il perché rimane un mistero anche per chi contro la tratta combatte ogni giorno». Un racconto non ordinato, quasi ricordi sparpagliati che l’autore cerca di mettere insieme, complice anche nel testo continue note di approfondimento – che hanno il valore di approfondire la narrazione e i temi trattati – e anche tante espressioni in lingua inglese e pidgin-inglese, tra tutte la parola oyibo, che l’autore usa ripetutamente per rivolgersi a se stesso e indicare “l’uomo bianco”. Un testo che non so se ho apprezzato appieno – anche perché è il mio primo approccio con questo autore di cui avevo sentito solo parlare qui e la – in cui la prostituzione, l’immigrazione clandestina e il colonialismo occidentale ne tratteggiano le linee guida. Sicuramente da approfondire, credo che proverò a leggere anche altro di questo autore, perché a suo modo questa prosa disordinata non mi è affatto dispiaciuta.
Nella sua opera postuma Vitaliano Trevisan svela che “il 55% delle prostitute in Italia sono straniere e il 36% di loro è di nazionalità nigeriana. L’ 85% delle prostitute nigeriane proviene dalla stessa città; Benin city, l’ hub africano della prostituzione. Il perché rimane un mistero anche per chi contro la tratta combatte ogni giorno”. In questo testo a metà tra un libro-denuncia e un racconto di viaggio, queste ragazze diventano “black tulips”. Trovo l’ appellativo particolarmente calzante e poetico. Mi piace considerare questa testimonianza come un appello alla libertà, ma al contempo, contro la mercificazione del corpo. Mi piace pensare che si tratti di uno scritto in cui l’ autore oppone allo stigma sociale la costante umanizzazione. Quest’ ultima procede attraverso la narrazione di storie peculiari, ricordi, incontri. La lingua a cui Travisan ricorre è vivida, diretta, immediata. “Chi avi lingua passa ‘u mari” recita il proverbio siciliano. Trevisan lo spiega così: “Chi sa esprimersi, farsi intendere non solo può, ma deve attraversare il mare e andarsi a cercare fortuna in continente. E chi ha detto che il continente debba essere per forza l’ Europa? Africa assai meglio, più vecchia e più giovane insieme.””Del resto si può ben dire che noi umani vediamo il mondo quasi esclusivamente di scorcio -un perfetto prospetto, o profilo, corpo o figura che sia, è un caso abbastanza raro. Eppure, proprio per via della prospettiva, tendiamo a dimenticarcene.” Non dimenticare, offrirci uno scorcio, una prospettiva sono i meriti di “Black tulips”.
Un linguaggio rotto, una sintassi spezzata ci portano in un paesaggio interiore che intuiamo sia disagiato, corroso da una inquietudine un po' folle, che trascina lo scrittore verso orizzonti alieni, in cerca di qualcosa che nemmeno lui sa cosa sia, per immergersi nel caos africano quasi a stordirsi là e non pensare più ai suoi tormenti. Ho conosciuto Vitaliano dopo il suo suicidio e lo metto accanto ai grandi scrittori scomodi e talvolta sgradevoli, come Houellebecq, che sento per certi versi vicini.
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