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Il racconto pone un incipit narrativo di tutto rispetto, con la figura dell'accordatore che suscita curiosità, ma che nel proseguire della narrazione si fa noioso e ripetitiva per mancanza di personalità in molti personaggio e per scelte narrative dubbie come la presa di coscienza di una delle due ragazze che suonano il pianoforte.
Al netto dell’interesse per la cultura giapponese e per la letteratura contemporanea che la veicola, per entrare in questo romanzo torna utile l’attrazione per il pianoforte, inteso prima di tutto come strumento ‘fisico’ capace di generare una data gamma di suoni e quindi di produrre musica. Il protagonista entra in scena ignorando il repertorio pianistico classico, ma è folgorato dall’opera di un accordatore che col suo talento evoca e ricrea sensazioni perse nell’infanzia. Con felice sinestesia, il suono del piano diventa un bosco (il legno della cassa armonica) di pecore (la lana dei feltri dei martelletti) e acciaio (le corde). Tomura è il classico adolescente senza qualità che in questo modo trova la propria vocazione, applicandovi la tenacia e l’abnegazione necessarie a progredire, ma convivendo a più riprese col dubbio della mancanza di talento. Il romanzo ha il tono lirico e poetico che può portare al sublime o scivolare nella maniera e nella noia. Non tutto funziona: la sensibilità esibita da Tomura affascina, ma alla distanza si fa estenuata, a tratti ingenua. La sottotrama sentimentale resta tra le righe, eterea, anche se decisiva per la crescita. Per citare l’autrice, se l’accordatura ideale deve mirare ad un suono ‘bello come il sogno, ma certo come la realtà’, l’impressione è che sia quest’ultima a essere in difetto nel romanzo. In questi casi, la soddisfazione o meno del lettore è legata per lo più allo stato d’animo che lo caratterizza nel momento in cui affronta le pagine.
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