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È sin troppo semplice accostare Bosseide (Gaffi editore, 2015) ai più famosi poemi epici, quali sono l'Eneide e l'Iliade. Oltre all'assonanza dei titoli, è facile ricordare l'ira di Achille "che mille sofferenze impose agli Achei", e pensare che sia rintracciabile nell'ira del Boss, il protagonista dell'ultimo romanzo di Nando Vitali che terrorizza il Paese con ferocia inaudita. Quindi si tratta dell'ennesimo libro sulla Camorra e la Terra dei Fuochi? C'è pure un menestrello, don Antonio il cantante, che in esclusiva per il suo Boss esegue a richiesta "Indifferentemente". Ebbene no! Il romanzo di Nando Vitali sorprende e spiazza, ordinando al lettore di abbassare il libro e guardare in faccia Boss, sua sorella Carmela e l'amico don Antonio. La loro minuziosa descrizione li fa apparire reali, con le loro miserie, solitudini, manie; impregnati dell'acuto odore di fegato soffritto che consumano abitualmente. Così il lettore si ritrova nel Castello, l'abitazione di Boss, insieme ai suoi sgherri, col fiato sospeso, in attesa che compia il gesto efferato che dimostri, ancora, che Lui è il capo. Proprio così: Lui, con la lettera maiuscola come Boss, il Castello, il Paese. Come se l'epica ci parlasse di un Dio, quello vero, maligno: Belzebù "quello sì che esisteva di sicuro". L'altro, il re dei cieli, viene così disprezzato e creduto vincibile da essere indicato con la minuscola: gesù, padreterno; "Boss pensava di poter dominare domineddio e tutto quanto entrasse nel suo spazio senza confini". Allora il lettore si scuote e ricorda che è tutta una finzione: non può esistere tanta malvagità nell'animo umano! Non è possibile uccidere solo perché non c'è un altro mezzo per arrivare al potere. Ma sì, è solo un romanzo, non c'è niente di cui aver paura. Chiudendo le pagine, però, resta forte un senso di malessere, di inquietudine. Forse perché, come ci dice don Antonio il cantante, "La verità è che nulla può competere con la vita vera, nemmeno il più formidabile dei racconti".
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