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Anno edizione: 2024
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Sfogliare queste pagine è come affrontare un viaggio: arrivi in fondo e ti accorgi di avere le scarpe impolverate dal cammino e nello zaino qualche cartolina di scorci suggestivi, un souvenir che, sì, finirà in un cassetto, ma salterà fuori inaspettato a risvegliare ricordi. A rovistare con cura, probabile che spunti anche un mezzo toscano nascosto da Angelo in attesa del momento opportuno per fumarlo. È un gran bel personaggio, Floramo, e, nel raccontare le storie, ci si mette dentro, svelando molto di sé scegliendo un taglio autobiografico e intimistico al punto che il libro potrebbe anche intitolarsi Breve storia sentimentale di un figlio dei Balcani. Lo fa in modo ironico, senza mai prendersi troppo sul serio, con l'intelligenza e l'umiltà di chi sa che nella vita non si è mai arrivati, né sapienti. È curioso, pronto all'ascolto, girovago per costituzione. Che la storia dei Balcani in queste pagine sia anch'essa poco convenzionale, lo si può intuire dall'Intro (Quasi una chiave di lettura), in cui l'autore traccia le tappe del suo viaggio, non affidandosi a coordinate geografiche, quanto ad appunti del cuore, reminescenze gustative, conoscenze sedimentate per studio o esperienza diretta. È una storia che parte dal basso e affonda le radici nella Terra che da sempre e ovunque è Madre, perché nutre e dà vita. Come anche le osterie, d'altro canto. Quelle rustiche, la cui cucina genuina descrive l'identità delle genti più di qualsiasi trattato etnografico. Qui appare tutto vivo e vero. Lo spazio dei ricordi è dilatato, il tempo è quello lento di chi percorre la lunga distanza, del pellegrino che cammina verso il sacro, coi suoi riti, le devozioni e gli incontri.
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