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Anno edizione: 2009
Anno edizione: 2020
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Di buono ci sono solo le descrizioni di Venezia,per il resto si tratta di un romanzo lento e improbabile che lascia poco e niente.Comunque meglio dell'ultimo Carlotto ambientato a Venezia,che peraltro mi è parso bruttissimo. Poco consigliato
Un po' troppo lento e ridondante. Anche se gli affreschi di Venezia sono molto belli, un po' malinconici. Racconta bene la sua città, la colora, la caratterizza. Concordo con il lettore che ha messo in contatto Ervas e Carlotto. Ma tra i due metto anche Fulvio Luna Romero che ambienta i thriller a Treviso e che prende il ritmo di uno e la potenza descrittiva dell'altro.
Massimo Carlotto come Dashiell Hammett, Fulvio Ervas come Raymond Chandler. Il primo una scrittura tesa, asciutta, incline solo all'esposizione degli eventi, alla consequenzialità del narrato. Il secondo ridondante e barocco, che spesso indugia su sfumature e stati d'animo, su profili bizzarri e destini ineluttabili. Eccessivo e generoso come i veneziani, insomma. Entrambi raccontano il Veneto, che Ervas ama e Carlotto no. Il Veneto di Carlotto è un crocevia di traffici illeciti e di corruzione generalizzata. Il veneto di Ervas è Venezia, tutto sommato. Venezia magica e misteriosa, sedotta e decaduta. Carlotto racconta gli eventi colpo su colpo, tenendo serrato il ritmo, il ritmo che Ervas non tiene in troppa considerazione. Ervas possiede piuttosto raffinate letture, prosopopea veneziana, gusto per la lingua, mentre il bagaglio di Carlotto è la cronaca dei quotidiani, il saper leggere tra le righe, tra le notizie. Forse è per questo che l'epifania di Carlotto è il colpo di scena, mentre quello di Ervas è la risoluzione di un enigma.
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