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Bello! le descrizioni dei paesaggi, le caratterizzazioni dei personaggi sono scarne ma efficaci. fa pensare, a dottori e non.
Recensioni
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Dopo avere per anni pubblicato soltanto i più famosi scrittori sudafricani - Gordimer, Coetzee, Brink - l'editoria italiana sembra all'improvviso avere scoperto il vivace filone del romanzo sudafricano contemporaneo. Tra le proposte più recenti si segnala Il buon dottore , quinto romanzo di Damon Galgut, drammaturgo e romanziere nato a Pretoria nel 1963, finalista del Booker Prize 2003. Tema di questo accattivante romanzo sono le difficoltà di cambiamento nel paese del postapartheid e i delicati nuovi equilibri di potere, tema per così dire "obbligato" per chi voglia oggi parlare, dall'interno, del Sudafrica, quasi quanto, sotto l'apartheid, i rapporti tra bianchi e neri avevano per decenni moralmente impegnato le precedenti generazioni di scrittori. Ma quello di Galgut non vuole essere un romanzo politico alla Graham Greene, anche se tale accostamento è stato proposto, bensì registrare i dilemmi politico-morali che la nuova realtà pone ai suoi attori.
Il buon dottore è un romanzo costruito con abilità, dall'atmosfera e il ritmo serrato del thriller e le pretese di un apologo morale: piuttosto che giungere a uno scioglimento finale, Galgut preferisce lasciare nel mistero e nell'ambiguità tutto ciò che non può essere spiegato. Laurence Waters, giovane medico neolaureato, arriva in un ospedale di campagna di una ex homeland per svolgere un anno di servizio civile. L'ospedale, costruito durante l'apartheid, è destinato alla popolazione nera ma, trovandosi nei pressi di un altro e più attrezzato ospedale, non ha mai veramente decollato. Benché dotato di una piccola equipe di dottori e infermieri, che si alternano per emergenze che raramente si verificano, è privo di attrezzature e di medicinali e non ha quasi più motivo di esistere. Eppure il direttore sanitario, l'ambiziosa dottoressa Ruth Ngema, in attesa di trasferimento in altra amministrazione, nonché il suo vice, il dottor Frank Eloff, non sembrano preoccuparsene e, anzi, si danno da fare perché tutto proceda senza scosse di cambiamento.
Carico di ideali e buona volontà, ma privo di esperienza e di consapevolezza politica, Laurence non ha strumenti per comprendere la realtà che lo circonda e non riesce a interpretare correttamente i comportamenti altrui. Capisce poco anche se stesso, le proprie motivazioni e inconfessate ambizioni e, trascinato da un cieco ottimismo, si lancia in imprese avventate che disturbano gli equilibri esistenti senza apportare alcun significativo e benefico cambiamento. Anzi, nel tentativo di capire e soprattutto di fare, provocherà più danni che buone azioni, andando incontro a una tragica fine misteriosa.
Le ingenuità del suo comportamento risaltano ancora di più allo sguardo disincantato del medico più anziano, voce narrante del romanzo, che racconta la storia alternando indifferenza e rabbia nei confronti del nuovo venuto, con il quale è costretto a condividere stanza e intimità non previste. Frank è arrivato lì sette anni prima, a sua volta carico di buone intenzioni, fuggendo da un matrimonio fallito - la moglie l'ha lasciato mettendosi con il suo migliore amico - e da un padre ricco e famoso, ansioso di favorire la carriera del figlio. La sua permanenza è quasi un esilio volontario, e anche un modo per espiare i suoi sensi di colpa di bianco per avere prestato la sua consulenza medica a un torturatore. Il racconto di Frank si concentra sul rapporto con il nuovo arrivato e sulle tensioni che si sviluppano anche a causa della differenza generazionale e di esperienza. Senza giungere a uno scontro diretto - molto è lasciato al non detto - l'incompatibilità fra i due implode a un punto di non ritorno, ma è soprattutto nello scorrere immutabile dei giorni e nei gesti banali del quotidiano che Galgut riesce a registrare il senso della minaccia incombente e a montare la suspense che annuncia la tragedia finale.
Pochi e appena tratteggiati gli altri personaggi: oltre alla dottoressa che dirige l'ospedale, un infermiere "indigeno" privo di qualificazioni, Tehogu, dal carattere ombroso e il vissuto oscuro, in realtà un piccolo criminale che sfrutta la propria posizione per rubare le poche attrezzature ospedaliere; una coppia di medici cubani, marito e moglie, sostenuti da ideali umanitari; un bieco militare, ex torturatore rimasto al posto di comando, e il governatore della ex homeland , ormai esautorato, che si aggira come uno spettro nel giardino della sua antica e sontuosa dimora. Sullo sfondo, una donna nera che lavora in una botteguccia di oggetti per turisti, che è stata l'amante del medico più anziano e che un giorno scompare insieme alla sua baracca.
Se i rapporti tra i personaggi suggeriscono le dinamiche e le tensioni del nuovo Sudafrica, lo fanno in maniera piuttosto schematica. C'è da un lato l'ambiguità dei bianchi nei confronti dei neri, dall'altro la diffidenza dei neri nei confronti dei bianchi, il desiderio di vendetta, l'inganno reciproco. La conversazione finale tra la dottoressa nera e Frank Eloff non fa che ribadire l'impossibilità dei bianchi di capire le ragioni dei neri e viceversa.
Piuttosto che una metafora del Sudafrica di oggi, Galgut sembra costruire un romanzo di atmosfere, vagamente conradiano, di cui colpisce la vaghezza e dove tutto appare un po' gratuito. A partire dall'enigma del titolo (chi è il buon dottore: il giovane idealista e avventato? o quello cinico e disilluso che resta a dirigere l'ospedale con la speranza di lasciare una traccia? È così che si espia una "colpa" del passato?) fino all'inutile enigmaticità di una delle considerazioni finali di Frank: "Questa era una storia senza finale, forse persino senza trama. Ero qui solo per imparare da capo che non sapevo nulla, e che non avrei mai capito nulla".
Paola Splendore
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