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Libro vincitore del Premio Benedetto Croce 2022 - Letteratura giornalistica
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La migliore introduzione a questo libro è la frase di Miriam Mafai: “Ci sono interi pezzi della storia d’Italia che gli Italiani non conoscono, e sono i pezzi migliori, della solidarietà, dell’amicizia, del sacrificio e l’abbiamo buttati nel dimenticatoio”. Questa è una storia dimenticata, io non la conoscevo, perché forse è una storia di comunisti e di donne, quando fra la gente comune il comunismo era sentito come solidarietà e partecipazione, qualità oggi totalmente perse indipendentemente dall’orientamento politico. Può lasciare perplessi lo sradicamento, sia pure temporaneo, di molti bimbi dalle loro famiglie di origine, ma bisogna considerare il contesto dello stato di estrema miseria di certe zone d’Italia dopo la tragedia della guerra, contesto che Giovanni Rinaldi riporta con cura e passione. Non posso riferire dell’immediato dopoguerra, ero appena nato, ma posso ricordare bene che negli anni ’50, a dieci anni dal termine della guerra, le condizioni di bisogno, se non la miseria, erano ancora diffuse e c’erano famiglie numerose che mandavano un loro figlio in Seminario e non per vocazione, per diventare un prete, ma semplicemente per alleggerire la loro situazione di indigenza, così come c’era qualche famiglia che affidava una figlia ad una zia vedova e senza figli per assicurarle una vita meno difficile. Particolarmente commovente è lo scambio di lettere fra le famiglie dei bambini e quelle di coloro che li hanno accolti. Questa dei bambini sul treno è una storia che tutti dovrebbero conoscere, dovrebbe entrare nei libri di scuola, perché la storia importante non è quella di vincitori e sconfitti, di battaglie, di conquiste, ma della sofferenza della gente che le guerre deve subire.
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