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VEYNE, PAUL, Ren‚ Char en ses poèmes, Gallimard, 1990
MARTY, ERIC, Ren‚ Char, Seuil, 1990
CHAR, RENé, Canti della Balandrane, Mondadori, 1993
recensione di Cacciavillani, G., L'Indice 1993, n. 8
Nel suo commovente saggio su Ren‚ Char ("Avez-vous lu Char? 1947), Mounin confessava: "Mi trovai come di fronte a una lingua straniera. Ma sentii che valeva la pena di impararla". E questa lingua, questo continente inaudito sono apparsi invariabilmente ai successivi lettori come consustanziali alla dimensione dell'etica (Luxerau) o del sacro (Picon). La poesia di Char, nel suo non breve sviluppo (l'edizione della Pléiade delle sue "Opere complete", magistralmente curata da Jean Roudaut, conta più di mille pagine), è posta sotto il triplice segno della filosofia presocrarica - "Eraclito mette l'accento sull'esaltante congiunzione dei contrari", dice il poeta -, della pittura - La Tour "padroneggia le tenebre con un dialogo di esseri umani" -, e della terra provenzale della Sorgue, definita quale un vivente "contro-sepolcro".
C'è chi ha visto in questo mondo verbale una violenta tensione fra "apertura" e "chiusura", fra nascita e nascondimento, sigillata dall'"intimità di poli non conciliabili" (Blanchot). C'è chi ha scorto nel fare poetico di Char la struttura tipica dei "riti di passaggio" (dall'esterno all'interno e dall'interno all'esterno: movimento stesso del " respiro", che è parola-chiave dell'opera): passaggio, anche, da un'isola all'altra dell'arcipelago ("La Parole en archipel" è il titolo di una raccolta del 1962), sicché viene rilevata, molto giustamente, l'essenziale natura spaziale di questa esperienza poetica, dove il 'passage' è anche 'partage': divisione e con-divisione (Mary Ann Caws). C'è chi, come Roudaut stesso, ha sottolineato la differenza tra il frammento di Eraclito (risultato di una frattura) e l'aforisma o l'assioma di Char (parte che realizza il tutto, in simulacro e in miniatura); e c'è chi, come Starobinski, definisce l'opera come un "sollevamento" - dalla regione notturna alla chiarità del giorno, dalla nascita al rischio ulteriore: "il sorgere di un arcipelago, l'urto dell'onda, il balzo del cuore, il volo ascensionale dell'aquila, l'innalzarsi del linguaggio al suo senso pieno, lo slancio di un'energia ribelle" -, ma nella rottura e nella disgiunzione.
Come entrare dunque in quest'opera abitata dalla contraddizione? Se l'occasione prossima ci è fornita dalla densa analisi di Agosti a introduzione della sua versione annotata dei "Canti della Balandrane" (1975-77), e su cui ritorneremo più avanti, non ci sottrarremo al compito di segnalare due lavori meno recenti che segnano un punto fermo nella storia della critica sul nostro autore.
Se l'illustre storico Paul Veyne, che ha goduto per anni dell'intimità del poeta all'ombra del monte Ventoso, si è fissato l'obiettivo di raccontare "quel che dicono" le poesie di Char, in una sorta di felicissima "traduzione" continua, attraversata da una falsariga biografica ricca di aneddoti illuminanti e di fulminei ritratti; il giovane Marty ci consegna la cartografia più completa e plausibile di cui oggi si possa disporre del "continente Char".
Ricchissimo di citazioni e di analisi testuali, il libro di Marty si struttura in cinque parti. Nella prima, il critico affronta la conversione di tre temi maggiori della poesia di Char - l'infanzia, il paesaggio, la casa - dall'immediato della presenza alla problematicità dell'Essere: "L'infanzia è la conquista della Parola, il paesaggio è l'accesso alla Terra, la casa si rivela come Dimora Impossibile". Le questioni di poetica occupano la seconda parte. Se il "poema" si definisce come un'interrogazione delle somiglianze (la "comune presenza", titolo di una raccolta del 1964), la similitudine diventa in Char problema della separazione degli esseri, delle cose e della terra: la solitudine dell'essere spezza la logica delle somiglianze. La separazione delle cose dal simile si traduce in ermetismo discorsivo, inteso non come impiego di simboli occulti, ma come possibilità di svelamento della verità nella "comunicante separatezza" degli enti. "II linguaggio ermetico è il modo di conoscenza poetica del mondo" (terza parte). La quarta parte, che morde il peso del reale e della storia nell'opera di Char, mostra l'equivalenza fra la nozione di creazione e quella di catastrofe. Da ultimo, e riassuntivamente, Marty riprende l'oscillazione "comune presenza" / separazione e ci spiega come in Char la separazione non si configuri come una negatività dell'Essere ma consenta, al contrario, un accrescimento continuo della presenza: 'L'éclair me dure'.
Ai vertici della sperimentazione di Char, i "Canti della Balandrane" testimoniano benissimo di quell'arduo e agonistico rapporto di individuazione e di coniugazione di cui si sostanzia il suo testo poetico. Ma prima di tutto: che cos'è la "Balandrane"? Come spiega Char stesso nell'ultimo testo della raccolta, si tratta di uno "sciame di sensi" sottoposto alla "flessibilità di una logica ancestrale". E allora poco importa che "La "Balandrane"" designi una sproprierà agricola" sita su un altipiano boscoso, mentre la parola "balandran" comporta non meno di dieci significati anche assai divaricati: l'essenziale è aver compreso l'imponente convocazione di senso multiplo mobilitata dalla parola-talismano. Ma si badi: se dieci percorsi di senso si aprono e stanno racchiusi in un unico vocabolo, Char non sottolinea meno la particolare logica seguita da questa magnifica costellazione significante: "logica ancestrale". E "ancestrale" corrisponde qui alla nozione di "primordiale" in Freud. Nel suo celebre saggio sul "Significato opposto delle parole primordiali", Freud osserva che nell'ambito delle lingue "primitive" esistono diversi casi in cui non solo una parola "riunisce in sé significati opposti" ma "due vocaboli di significato opposto vengono riuniti in un complesso". Questo fatto linguistico collima perfettamente con una delle leggi fondamentali della logica prelinguistica dell'inconscio, secondo la quale si dà "equivalenza e congiunzione di contrari e contraddittori".
A questo nucleo concettuale si rifà Agosti nella sua introduzione laddove, dopo una serie di serrare analisi dei "Canti", constata: "La commistione dei contrari segna il punto di convergenza della tensione centripeta che anima il testo a livello profondo" (in contrasto con la tensione centrifuga a livello di superficie). Ad esempio, nel mirabile testo "Senza cercar di sapere", la morte è vista, simultaneamente, sia come "porto", destinazione finale, sia come "genealogia", eredità remota legata all'origine ("alba"). Alla fine del componimento, gli opposti valori s'incarnano nella sostanzialità dell'"alhero" - "olmo": in esso coincidono, in esso si legano tanto la "cenere" (dissoluzione del vitale) quanto la "sorgente" (origine del vitale), in breve, la vita e la morte. Si potrà allora affermare che, a un livello di superficie, il resto si manifesta come centrifugo ("poema polverizzato", "parola in arcipelago"), mentre a un livello profondo esso si manifesta come centripeto ("comune presenza"). E tuttavia anche il contrario, se, a volte, questa tensione può anche ribaltarsi (come sottolinea Marty): allora il livello profondo è centrifugo mentre il livello di superficie è centripeto, come testimonia ad esempio, in modo palmare, la parola-chiave ("Balandrane") del titolo stesso della raccolta. Recuperando anche le giuste osservazioni della Caws, si potrebbe dire, con un'immagine, che alla mensa del resto il pane poetico viene spezzato (diviso) per essere condiviso.
Mi preme tuttavia, a conclusione, porre un'importante distinzione che proviene dal pensiero psicoanalitico. José Bleger, in uno studio che è ormai un classico ("Simbiosi e ambiguità", 1967), differenzia l'ambivalenza (due termini antinomici a un dato momento convergono su un unico oggetto) dalla divalenza (i termini contraddittori sono scissi e mantenuti separati) e dall'ambiguità (assenza di discriminazione di termini diversi o antinomici, sincretismo, struttura simbiotica). Concretizzando, possiamo allora affermare che v'è ambivalenza quando l'oggetto "x" è odiato e amato nello stesso tempo (è il caso dell'"albero" di Char, portatore sia di vita che di morte); v'è divalenza quando l'oggetto è scisso in due, odio da un lato, amore dall'altro (è il caso della "donna" di Baudelaire, che s'incarna ora in figure distruttive e ora in figure supremamente idealizzate); v'e ambiguità quando l'oggetto della relazione è anteriore a ogni classe differenziale (è il caso del diffuso sincretismo di Nerval, del suo "pensiero del Medesimo").
Proprio in tale direzione, scrive Char nei suoi "Canti": "Caos, non insegnare ai mille caos l'uomo totale!" (rifiuto dell'ambiguità); "La sorgente ha reso difensiva la ginestra ['jonc'] mantenendola lontana dal giunco ['ajonc']" (pensiero differenziale, asimmetrico); ma subito il poeta aggiunge: "Non fare il sostenuto: avvicina la prima al secondo" (legare insieme ciò che è massimamente divaricato: la lettera "a" di 'ajonc' è quasi un "alfa privativo" rispetto al 'jonc'). Char preferisce il dialogo violento fra le cose piuttosto che la loro pacificata compresenza; in lui, comune presenza e separazione garantiscono l'autenticità dell'esperienza - "in questo ribelle e solitario mondo delle contraddizioni".
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