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Il saggio di Ronald Dore si inserisce nel dibattito sui modelli di capitalismo sviluppatosi nel corso della prima metà anni novanta. In contrapposizione all'egemonia di ideologie neoliberiste, alcuni sociologi ed economisti avevano affermato l'importanza delle istituzioni politiche e sociali (ad esempio, il sistema bancario, quello formativo e quello delle relazioni industriali) anche nell'epoca post-keynesiana. Dunque, esisteva una pluralità di modelli di capitalismo ed era possibile distinguere il modello anglosassone, più riconducibile al libero mercato, e quello renano e giapponese in cui, invece, importanti erano le istituzioni sociali e politiche. I teorici dei modelli di capitalismo potevano supportare empiricamente le loro affermazioni facendo riferimento alla brillante performance negli anni ottanta dell'economia di paesi come la Germania e il Giappone, a proposito del quale lo stesso Dore parlava di rigidità flessibili. Diversa era la situazione di paesi come gli Stati Uniti e soprattutto l'Inghilterra, in cui alle ricette neoliberiste si accompagnavano un certo declino dal punto di vista economico e forti diseguaglianze a livello sociale. Così, all'inizio degli anni novanta, Michel Albert concludeva Capitalismo contro capitalismo (il Mulino, 1993), uno dei testi divulgativi sul tema di maggior successo, evidenziando il paradosso del modello anglosassone che, pur essendo meno efficiente dal punto di vista economico e meno equo dal punto di vista sociale, deteneva l'egemonia dal punto di vista ideologico. Invece, nettamente inferiore era l'appeal del modello renano.
Nel corso degli anni novanta il panorama socioeconomico è mutato radicalmente. Innanzitutto, la globalizzazione ha riaperto il dibattito sulla divergenza o convergenza dei modelli di capitalismo. Inoltre, le difficoltà economiche della Germania e del Giappone sembrano confermare le ipotesi dei neoliberisti.
Il saggio di Dore ha il grande merito di fare il punto della situazione con un'analisi non superficiale. Con una certa ironia, qualità che spesso difetta agli accademici, Dore nell'introduzione scrive che probabilmente molti lettori (qualcuno, magari, anche con un certo compiacimento) si domanderanno se l'autore è lo stesso che qualche anno fa presentava il Giappone come modello.
Di fatto, il testo presenta un'approfondita riflessione sul capitalismo contemporaneo. La principale trasformazione è rappresentata dalla finanziarizzazione o, più precisamente dalla marketization plus financialization, vale a dire, da un lato, dalle politiche neoliberiste che puntano sul conseguimento della competitività attraverso la deregolamentazione, l'incoraggiamento dell'iniziativa privata, la fiducia nella superiore efficienza e giustizia dell'allocazione del mercato e, dall'altro, la crescita dell'importanza del settore finanziario e lo sviluppo di un'economia speculativa.
Il pregiudizio valutativo dell'autore da lui stesso esplicitato, vale a dire la preoccupazione per le conseguenze dei processi di liberalizzazione e di finanziarizzazione, non inficia la sua analisi, che è ben documentata, anche se traspare una certa benevolenza nei confronti del modello giapponese.
Dopo aver descritto gli elementi che caratterizzano i due modelli nipponico e renano nella loro formulazione originaria e i cambiamenti in corso nei due paesi, Dore giunge alla conclusione che la convergenza verso il modello anglosassone è più forte a livello ideologico che nella reale trasformazione dell'economia.
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