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Anno edizione: 1997
Anno edizione: 2015
Anno edizione: 1997
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Ceronetti è un esploratore instancabile delle vaste plaghe del Male. In ogni direzione: nel passato, in terre lontane o fra le strade dove ci troviamo a camminare ogni giorno. Un ritaglio di giornale, un neologismo, il rictus di un ignoto: tanto basta, se lo seguiamo, per scoprire paesaggi devastati della mente o della realtà ufficialmente riconosciuta. Ma ci sono anche frequenti deviazioni, in queste indagini del pamphlettista flâneur, del filologo cantastorie. Sono scarti improvvisi che ci immettono in mondi paralleli, ad altre leggi obbedienti: un fotogramma di Arletty, una frase di Céline, un distico di Angelus Silesius. A distanza di vent’anni da La carta è stanca, e ormai in prossimità dei «tristi Duemila», Ceronetti ha raccolto e rielaborato un altro fascio dei suoi articoli, che sono sempre seguiti da una tenace tribù di lettori, felici di incontrare quelle scintille improbabili in mezzo alla folla desolata di tutto ciò che fa notizia.
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Ceronetti è sempre Ceronetti. Il céliniano di Porta Palazzo non delude mai: ironico, caustico, glaciale, spietato e compassionevole. Dalle monete alla Sindone, tutto ciò che viene toccato dalla sua intelligenza assume contorni nuovi e abissali.
Riaprire i libri di Guido è ogni volta luce d'ostinazione salvifica. La sua prosa avvolge e disorienta come scossoni che scrollano il normale, ghigliottine dolcissime a cadere sulle teste vuote di un oggi già perduto. Le sue scelte, i suoi sguardi, simili a scudisciate di grazia, aprono il ventaglio del sociale mostrandocene i buchi più evidenti, tarli e bubboni infissi nelle coscienze d'intorno sui quali egli fa penetrare il suo vento, stupendo tifone figlio della sua penna, delle sue asprezze d'animo. Qui, come in altri lavori, siamo in compagnia di mille suggestioni, bicchieri di veleno dove annega la vita ma nei quali Guido fa penetrare una goccia di senso, di simil salvezza grazie a qualcosa, sia pure un lontano odore. Le sue muse più scelte a ridosso delle pagine confermano come una biografia sensibile che apre i suoi favori, dalla Arletty di Les Enfants du Paradis, film superlativo, a quei tre libri che bastano a declinare il secolo e che egli impone come un comando in un'intervista a se stesso nel 2027 (cioè a un secolo dalla sua nascita): il Viaggio di Céline, la Kolima di Salamov e i racconti di Kafka. Tre fucilate irretrattabili, tre uccelli in picchiata nello sterno di paglia degli uomini. Li capirebbero? Dubito. Ma che importa. Inutile inquietarsi, ha ragione lo stesso lui. Del resto in altri punti viene a raccontarci che dopo Chaplin è successo pochissimo nel cinema, e anche qui, sebbene estrema e apocalittica come affermazione, la mettiamo nella nostra custodia come un'avvisaglia sempre pungente. L'idea di Male alla fine è sempre all'erta, ma come una rassegnata educazione lungo i giorni, febbre insensata dalla quale trarre i distillati giusti per differenza, mezza linea di coscienza che educhi almeno a cadere dalla parte esatta. Sui bordi dello stantio e dell'insensato allora questo breviario è musica per poeti, soffi d'eternità malata, cancerosa, ma limpidi come periodi sorgivi. Guido avvilisce, grida donandoci sorrisi sotto pelle. Rari, di genio.
Ceronetti è davvero uno degli ultimi guardiani della luce. Intransigente, integralista, oltranzista, terrorista, provocatore, moralista, incorruttibile, fragile (l'impressione è che preferirebbe spezzarsi che non piegarsi, alieno com'è all'accordo, al compromesso) profeta bisbigliante striscia ai bordi dei nuovi deserti (metropoli tecnologizzate che, lentamente ma inesorabilmente, allontanano ed escludono l'uomo) e li attraversa senza spostare nemmeno un granello di sabbia; coscienza fuori dal tempo, accumula tesori destinati ad essere sotterrati, gioielli grezzi di parole che, come durissimi gusci, accolgono e proteggono le gocce di luce sparse sulla terra, nella polvere, all'ombra di inestricabili cespugli. La tenebra, dentro e fuori l'uomo, avanza e si spande senza requie. Fare un giro, ogni tanto, nelle miniere di Caino, è cosa che rincuora. Leggetelo!
Recensioni
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recensione di Boatto, A., L'Indice 1997, n. 8
Agisce in Ceronetti un diagnostico del crimine, un prospettore della sciagura, uno speleologo delle planetarie rovine, ma non rintracciamo mai in lui l'ombra possibile di un terapeuta. Lo scrittore non conosce alcun rimedio all'irreparabilità del Male - l'impiego della maiuscola è giustificato dalla radice ontologica, metafisica che possiede la nerezza del mondo -, bensì solo consolazioni tanto più persuasive e perfino efficaci quanto più si mostrano insperate. A me ricordano il "consolamentum", il solo sacramento amministrato dai catari provenzali ai fedeli di grado secondario prima della morte. E la setta catara è stata letta anche come un'ennesima manifestazione della gnosi: non siamo poi tanto distanti da un autore che è stato definito "un'anima naturaliter gnostica".
Inaspettatamente più pietoso di quegli sventurati eretici o, forse, più fortunato - non me ne voglia se gli assegno quest'ultimo attributo -, Ceronetti concede a sé e a noi almeno due conforti. L'uno è costituito dalle parole, quelle di cui fa un uso aspro, infiammato e immaginoso, e quelle degli altri, soprattutto dei mistici e degli scrittori sofferenti e devastati: frammenti, distici di fuoco, aforismi rischiaratori. Ed è proprio il suo amore per la frase sentenziosa e per il periodo contratto che lo pone in salvo dallo scoglio sempre vicino della predicazione.
L'altro "consolamentum" ha consistenza non solo immaginaria ma concretamente carnale. Questo scrittore minacciato dal peccato della superbia e dalla grande facilità del disprezzo accetta la correzione che gli apporta l'umiltà. Si tratta di una trita, quotidiana umiltà che lo spinge a spartire con le platee la consolazione povera, accessibile del cinema. Evidentemente Ceronetti, che nutre dubbi sulla morte di Dio ma nessuno su quella del cinema, parla del cinema di ieri. Ai suoi occhi si incarna nel volto di Arletty, la protagonista non mai obliata di "Les enfants du Paradis" di Carné. Non esiste solo l'oscurità del Male ma anche la morbida oscurità dei cinematografi, su cui splende il fascino delle pupille, delle labbra e delle ciglia della donna. Simile refrigerio dalle pene non si limita unicamente alla finzione. Ceronetti compone un'apologia dell'imprevedibilità dell'amore, una forza di per sé eruttiva opposta alla catena monogamica e depressiva di ogni fedeltà matrimoniale. Che cosa fecero di meglio nella loro stagione gli antichi poeti surrealisti?
Del Male in Ceronetti non c'è alcuna previsione ma solo accertamento, indicazione, attrazione spinta fino a una punta d'impuro compiacimento. Non commettiamo il grosso errore di scambiare per un profeta questo rinomato traduttore di testi profetici dell'Antico Testamento. Il disastro non deve affatto ancora sopraggiungere, e meno che mai un redentore che disporrebbe del potere di mutare la consolazione in salvezza. Ceronetti frequenta sempre un Male sì profondo e radicato ma egualmente sempre domestico, appiccicato ai nostri giorni, frequentatore delle nostre strade, nascosto nelle nostre abitazioni, sempre più simili a spettrali "machines à habiter" dislocate sulle onde di Internet.
Per questa familiarità col Male Ceronetti ha trovato una sede appropriata per la sua attività di diagnostico nella pagina di giornale. Se c'è un luogo dove l'orrore e lo spavento dimorano in forma indisturbata e vittoriosa è la pagina sporca d'inchiostro tipografico. Mentre in Tv sono le labbra di ardite telecroniste a rovesciarci le nefandezze accumulate durante le ultime ventiquattr'ore, sul giornale esse si offrono avendo come mediatore solo la scialba scrittura dei redattori.
Cara incertezza ancora una volta è una raccolta di articoli pubblicati in precedenza e poi puntigliosamente rielaborati da questo prospettore della parola nelle vesti di scrittore ispirato e di filologo. I temi, pur sempre sorprendenti, non potrebbero appartenere meno alla continuità e alla deriva di Ceronetti. Da Hiroshima, una catastrofe che non ha incontrato il suo nome, alla soppressione di vecchi incurabili da parte di un gruppo molto organizzato di infermiere, dalla messa officiata in italiano al colore giallo di Van Gogh, dalla mostruosità dell'imperatore Tiberio al ricordo dell'insurrezione ungherese, dal corpo di Arletty al ritratto dell'amico Cioran. Una materia rigogliosa e fermentata distribuita in parti quasi eguali fra ispezione del Male e offerta di domestici conforti, forse in numero più copioso del solito da parte di questo inconsolabile. L'omaggio che rende a Ernst Jünger centenario, in costante "contatto col mistero del mondo", intacca ai miei occhi la fruttifera unilateralità della visione di Ceronetti.
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