Il cardillo addolorato
- EAN: 9788845912764

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13/05/2020 11:22:08
La Ortese per scrivere questo romanzo venne probabilmente toccata da una speciale grazia. In nessun altra delle sue opere riesce a trovare un equilibrio così perfetto tra realtà e fantasia magica, tra i toni lievi e quelli drammatici, nella coralità dei personaggi, sia maschili che femminili, e nelle loro storie che si intrecciano in un vortice perfetto. Il lettore rimane sospeso di fronte al crollo delle proprie certezze nel dipanarsi di questa storia, che prende pieghe inaspettate prima di giungere alla sua conclusione. Uno tra i libri più belli e singolari della letteratura italiana del novecento. Anzi: della letteratura tout court
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12/05/2020 23:45:57
Bellissima favola, avvincente. Figure di donne misteriose e vertiginose, che fanno tenere il respiro sospeso. Una storia legate a una città sotterranea con crudeli storie di fanciulle impassibili e di folletti disperati, di Streghe sentimentali e di Principi Squilibrati, oltre che di altri fantasmi» e di un cardillo onnipotente che domina tutti
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20/09/2019 17:55:13
Questo è un libro sul sogno e sull'inconscio e la Ortese non ritrae il mondo reale, ma l'immagine del mondo che la sua anima rispecchia. La sua letteratura è infatti un universo di significati dinamici, una galassia di idee mobili, in cui la contraddizione logica non ha alcun peso. Si pensi per esempio alla contrapposizione del rumore e del silenzio nella "lente scura" e ai due concetti sono attribuiti valori e significati di volta in volta opposti; la Ortese fugge il rumore delle auto per esempio, il chiasso dei vicini di casa e ambisce a rifugiarsi nel silenzio, qui è lo stesso meccanismo dialettico che governa il rapporto fra realtà e irrealtà nel "porto di toledo", dove ad avere insieme sogno e desiderio sono forse le diverse facce della stessa tematica. In questo romanzo toledano realtà e realtà alludono alternamente tanto al mondo adulto governato dalle leggi della prassi, quanto all'universo stravolto della fantasticheria, ai desideri e alle aspirazioni infantili più profonde, ma irrealizzabili. È un libro densissimo di significati ve lo consiglio davvero per provare a credere che cosa è in grado di fare la penna di Anna Maria Ortese.
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10/03/2019 14:50:12
Un libro che riconcilia con la letteratura. L'estrema ricercatezza stilistica e la straordinaria capacità narrativa dell'autrice, impongono al lettore un esercizio di autentica astrazione. L'immersione nella Napoli settecentesca, dove l'Illuminismo europeo si combina e si mescola con antichi misteri, dove la miseria dell'anima convive con una nobiltà fatta di saggezza e, al tempo stesso, di spietata crudeltà oscurantista, richiedono totale dedizione agli intrecci della storia, così mirabilmente cadenzati. Quasi una danza, scandita dalla presenza ingombrante di un cardillo - sublimazione simbolica di antiche colpe e oscuri destini - che, addolorato, non può che portar dolore a sua volta. Elegantissima prosa, sommo piacere del gusto (vetusto) di ragionare con sentimento. Il libro è scritto molto bene, in bellissimo stile, e ci sono un paio di artifici narrativi davvero notevoli. Leggetelo !
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19/09/2018 10:39:37
"È così... Distrugge chi lo ama... Perché è la nostra memoria...il desiderio dei giorni belli... i giorni imposibili che tutti abbiamo incontrato, almeno una volta, nella vita". Ecco cosa rappresenta il Cardillo, anima invisibile che permea tutte le pagine di questo romanzo. È il Re della Vita; indomabile forza della Natura; crudele despota dello Spirito umano e pertanto fonte inesauribile di malinconica sofferenza del vivere. È il simbolo della Natura contrapposta all'Umanità. La quieta sofferenza che instilla ai protagonisti del romanzo è l'unica vera alternativa alla finzione ipocrita del vivere. Annamaria Ortese ci accompagna, facendo spesso capolino tra le righe, in questa "crudele storia di fanciulle impassibili, di Folletti disperati, di Streghe sentimentali e di Principi Squilibrati, oltre che di altri fantasmi [...] del bel mondo euro-napoletano, prima e dopo il [17]93". E al povero Lettore non resta che aggiungere un po' di sale nella pentola delle lacrime.
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19/09/2018 10:27:14
Un libro che riconcilia con la letteratura. L'estrema ricercatezza stilistica e la straordinaria capacità narrativa dell'autrice, impongono al lettore un esercizio di autentica astrazione. L'immersione nella Napoli settecentesca, dove l'Illuminismo europeo si combina e si mescola con antichi misteri, dove la miseria dell'anima convive con una nobiltà fatta di saggezza e, al tempo stesso, di spietata crudeltà oscurantista, richiedono totale dedizione agli intrecci della storia, così mirabilmente cadenzati. Quasi una danza, scandita dalla presenza ingombrante di un cardillo - sublimazione simbolica di antiche colpe e oscuri destini - che, addolorato, non può che portar dolore a sua volta. Elegantissima prosa, sommo piacere del gusto (vetusto) di ragionare con sentimento.
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18/09/2018 18:27:17
Inarrivabile fascino di una scrittura magica, capace di svelare il mistero dietro dietro la realtà delle cose, di ammantare le cose di mistero. Sono incantata dalla storia dei giovani signori nordici, presi dal fascino di una Napoli misteriosa e bellissima, crudele e piena di grazie, azzurra e buia, dove strane presenze si aggirano per le strade e la voce del Cardillo canta il suo dolore primordiale. Nessuno come la Ortese ha saputo cogliere questi aspetti dell'antica città- forse bisogna appunto tornare ai viaggiatori della fine del settecento, a iniziare da Goethe, per trovare occhi tanto innamorati e spassionati da vedere la Napoli sotto le apparenze, la Napoli di potente magia e delle creature impossibili come il Cardillo. Nel romanzo nulla è quello che sembra: tutto si svela pian piano, una sorpresa dopo l'altra, fino a quella finale, quando il Cardillo si svela - forse - nel suo vero aspetto. Si tratta di un capolavoro che bisogna leggere, e che vi richiamerà molte volte nelle sue pagine incantate al suono di quel canto addolorato e terribile, che se si tende bene l'orecchio interiore si riuscirà poi a sentire ovunque, dentro di noi.
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21/10/2011 16:31:50
Ho iniziato questo romanzo con poche aspettative, ma mi sono dovuto ricredere...eccome! un romanzo con canoni di lettura e narrazione al di là degli stereotipi di qualsivoglia genere...ci si immedesima facilmente in una Napoli tra la fine del '700 e l'inizio dell'800 infarcita di inganni, barocchismi, misteri, spiriti di morti che vanno e vengono, realtà che si traducono in fantasie e viceversa; menzogne ben articolate poi verificatesi mezze verità...ma anche magie, negromanzia, mondo dell'aldilà che si interseca con il mondo apparentemente reale...e poi questo "cardillo" che si trasforma in tanti altri personaggi forse mai esistiti o forse apparsi per brevi e/o lunghi periodi; una continua sorpresa di evoluzione narrativa che il lettore non dà assolutamente per scontato...e così tanto altro...
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13/02/2011 10:24:30
Per fortuna c'è l'Adelphi che rende possibile apprezzare l'opera di una delle nostre grandi scrittrici.
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14/09/2010 11:20:09
Un incanto!
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02/09/2009 07:15:01
Un libro stupendo, in cui il colore cangiante (del mondo fisico e mentale) e' forse la cosa piu' bella. Piu' un libro di poesia che un romanzo. Memorabile.
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13/04/2004 22:44:59
Oh, Oh, che guazzabuglio...Che fatica arrivare fino all'ultima pagina...Lasciamo stare, va.
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21/04/2002 23:34:02
è un libro scritto molto bene, particolarmente belle e intense le prime trecento pagine.

recensione di Roat, F., L'Indice 1993, n. 9
(recensione pubblicata per l'edizione del 1993)
"Il Cardillo addolorato" nasce come un racconto fiabesco, permeato da un'atmosfera di rossiniana levità, nella cornice leggiadra d'una Napoli fine Settecento dai colori pastello. Tre giovani signori scendono dai Paesi Bassi in Campania per fare visita a un celebre guantaio, padre di due figlie "ugualmente alte, impettite, belle e insopportabilmente 'mute'", anche se esse sanno parlare, giacché di un blocco interiore pare si tratti, d'una algidità dell'anima, evidente soprattutto nella maggiore, Elmina, che subito fa innamorare di sé il più giovane degli ospiti, l'artista squattrinato, il quale tuttavia ottiene inaspettatamente il consenso alle nozze e la sposa.
Ma dopo poche pagine la favola bella si fa dramma inquietante e i toni pacati dell'idillio iniziale mutano rapidamente negli accenti cupi e oscuri di una vicenda intessuta di deliri, ambiguità, falsi disvelamenti, e misteri dolorosi. Man mano che la narrazione procede - in un crescendo di variazioni - ciò che pareva verosimile o assodato non si rivela affatto tale; il ruolo e la funzione degli stessi personaggi appaiono sempre più oscuramente contraddittori. Gli innamorati non sono veri amanti, le sorelle forse non sono sorelle, n‚ i padri autentici genitori di ragazze che si rivelano figlie altrui. Tutto si ribalta, metamorfizza e confonde, a seconda la storia venga raccontata dall'una o dall'altra voce narrante; così di nessun elemento narrativo il lettore è più certo, se non che la "verità del mondo", ovvero ogni opinione, è comunque ambigua e fuorviante, pari a "uno scherzo o un sogno di Satana". Inutilmente i tre amici, uno dopo l'altro, offrono il loro amore a Elmina: essa lo rifiuta, essendosi votata a lenire il dolore ("solo il dolore si deve amare") di un piccolo essere minorato nel corpo e nella psiche, una creatura fra le più umili e reiette "del sottosuolo": un Folletto che nel romanzo sembra ergersi a simbolo archetipico di tutti gli sfortunati "piccerilli" che pur avendo "venti o trenta o cento anni di età rimasero fanciulli". Elmina disdegna quindi l'amore degli adulti, dei sedicenti esseri normali, per preferir loro un bambino diverso, poiché lei ha saputo prestare orecchio al richiamo del Cardillo - figura araldica d'uno stato edenico perduto di armonia con la natura - il cui canto doloroso rammenta l'anelito disperato d'amore di tutti i deboli e diseredati del mondo, alludendo a un "sogno generale di bene". Così, a onta della magmatica cripticità e dei variegati intrecci narrativi, tema centrale di quest'ultimo romanzo della Ortese rimane ancora una volta quello su cui negli ultimi anni si è tenacemente incentrata l'attenzione della scrittrice: denunciare la scandalosa realtà di solitudine e dolore che possono soffrire gli esseri più indifesi della "Natura". E il fanciullo-Folletto del "Cardillo" si rivela dunque la versione maschile di quella fanciulla-rettile amata come una figlia dal protagonista dell'"Iguana", conte Aleardo, il cui corrispettivo femminile è la giovane Elmina: sorella-madre adottiva di un altro indifeso e derelitto "bimbo della Natura".
Chi abbia letto il breve testo narrativo "Folletto a Genova" (che fa parte dell'antologia "In sonno e in veglia", scritta qualche anno fa dalla Ortese) potrà rilevare le analogie tra esso e il nucleo centrale del "Cardillo", che dal racconto prende chiaramente spunto. È sempre il tema della natura oltraggiata e vilipesa da uomini insensibili e gretti, che viene presentato in una visione del mondo onirica e vanamente romantica, la quale sembra comportare una svalutazione della concretezza diurna e oggettiva della realtà. "Io non so più se vivo o sogno", osserva il principe verso la fine del "Cardillo", e pare frase estremamente emblematica, che non solo può far pensare al realismo magico della prima Ortese, ma si pone quale cifra di una poetica intesa a cogliere sempre e solo insieme: sogno e veglia, reale ed irreale, quotidiana materialità e proiezione fantastica.
Ma rispetto ad altre prove, soprattutto all'"Iguana", quest'ultimo romanzo appare segnato da un'estenuazione che lo dilata a un'ampiezza forse eccessiva, la quale sembra ubbidire più a una difficoltà a congedare personaggi e narrazione che a un'autentica urgenza di dire altro. Rimane, felicissimo, il gusto del narrare mediante la levità d'una scrittura evocativa di grande lirismo e suggestione, sfarzosa e musicale nel suo accento barocco, mai manieristico però, capace di variare la pedaliera espressiva dalle ariose e belle descrizioni di gusto manzoniano, alle metafore eleganti, alle più cupe impennate verso abissi allucinati di definitiva angoscia e solitudine, dove la prosa si fa poesia, quasi celebrazione religiosa di un dolore cosmico e assoluto, per mutarsi quindi in attonito stupore rassegnato, spegnendosi nelle interiezioni laceranti, nell'"Oh! Oh! Oh!" - canto, congedo, viatico - del "Cardillo addolorato", con cui il romanzo si chiude.
