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recensioni di De Federicis, L. L'Indice del 2000, n. 05
Il classico da rileggere è Luigi Russo, di cui esce, in nuova edizione e con felici aggiunte, un titolo assente dal 1973 e perciò forse sconosciuto ai più giovani. I meno giovani invece ricordano benissimo che il Carducci senza retorica cambiò la fisionomia di Carducci, scartandone le deformazioni dell'aspetto ufficiale - busto marmoreo, statua di gesso, scrive ancora Alfonso Berardinelli - per farne emergere la vena lirica; e non solo nell'intimismo dei piccoli testi irreprensibili, ma proprio in mezzo ai monumenti. In mezzo alle rovine della romanità, Russo rintracciava "la tristezza del pover'uomo e la nostalgia", il gusto di un poeta funebre, la nera malinconia dell'esistenza al tempo dei moderni. Perciò il "senza retorica" ha guidato la linea esile delle interpretazioni più generose che si sono poi succedute: vi accenna sull'"Indice" Fernando Bandini, in una "Musa commentata" del maggio 1993, una lettura testuale di San Martino che riprende, in certe mosse discorsive e narrative, anche lo stile critico di Russo.
Il Carducci senza retorica, uscito nel 1957, raccoglieva in un volume unitario dieci saggi del decennio precedente. Fu un'opera classica dello storicismo maturo al quale era approdato Russo (1892-1961), con l'obbiettivo di una ricostruzione integrale dell'autore (incluse le idee) e del tessuto sociale che lo stringe agli altri (inclusi i lettori avvenire), qui introducendo, e anticipando, un concetto non sociologico di "immaginativa". La riconosciuta mediocrità del poeta Carducci agevolava l'operazione critica, l'indagine su un mezzo secolo di vita letteraria nell'Ottocento toscano, italiano. Bisogna subito aggiungere che della vita letteraria, e della poesia, Russo aveva elaborato una concezione, diremmo oggi, assai impura. Non è certo la polemica, sostiene, che ha guastato la poesia di Carducci. E, con sentenza generale: "senza lotta, con tutte le angustie e le miserie che accompagnano la lotta, non si può aspirare né al nome di storici né al nome di poeti". Infatti il volume, che vediamo ad apertura fabbricato su testi minutamente citati, alla lettura ci risucchia nel flusso di umori e di passioni in cui sono immersi. Vivido contesto dei versi, belli o brutti, di Carducci; e del mestiere di critico secondo Russo. La ri-
lettura genera impressioni sconcertanti di inattuale attualità. Nobilmente inattuale la fiducia nella "verità storica", nella verità "filologica", se è vero che (vedi Simone) la traccia del testo va perdendosi assieme al suo corpo di carta, il libro. Attuale invece, dopo lo strutturalismo, la volontà di dire del critico, e il suo chiamarsi dentro, e chiamarci, nelle situazioni. Faccio un solo esempio: la pagina in cui Russo, a proposito della religione di Carducci, disegna una tipologia dell'anticlericalismo durante tre secoli di vicende italiane. E avendo restituito Carducci al legittimo deismo anticlericale di matrice settecentesca, individua poi nel Novecento un atteggiamento invece "laicista" che con l'anticlericalismo non ha nulla a che fare, ed è l'avversione "contro l'invadenza totalitaria, vuoi della chiesa cattolica, vuoi della chiesa protestantica, vuoi della chiesa maomettana o di altre chiese che possano mai sorgere". In un saggio del 1951. Genera dunque, la nuova lettura, pensieri alla rinfusa. Mondo d'oggi più complicato. Pessimi, oggi, gli slittamenti semantici. Fatale la vischiosità, in Italia, della controversia su laicismo/anticlericalismo. Eppure quant'è resistente, e restio a lasciarsi cancellare, questo progetto di umani in cerca di un umano criterio di convivenza! e che bella voce gli dava il vecchio professore: "tutti siamo credenti, specialmente gli uomini operosi; ma credenti in che cosa?".
Credenti in che cosa, cinquant'anni dopo? "Il problema vero sta in questo", a pagina 202.
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