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Anno edizione: 1998
Anno edizione: 2021
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Strabiliante, davvero interessante conoscere questi carteggi tra due grandi personaggi
Due giganti del 900 che si scrivono, si confrontano e si confortano con la semplicità di due ragazzini. Una bella corrispondenza dalla quale si evince l'amore per il proprio lavoro inteso come arte alla quale hanno dedicato la propria vita.
Con molta curiosità ci si accosta a questo carteggio, che straripa in elogi reciproci pur mantenendo una timidezza di fondo che circoscrive il rapporto al terreno artistico. Fellini a tratti esuberante, Simenon pacato in un versione paterna.
Recensioni
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Difficile, a prima vista, immaginare due artisti più diversi tra loro di Simenon e Fellini. L'uno scrittore fluviale, inesauribile; l'altro regista di non molte opere in circa quarant'anni d'attività. L'uno scrittore dai tratti essenziali, l'altro regista di barocche macchine dell'immaginario. Benché autore anche di romanzi eccellenti e non "di serie", Simenon lo si ama soprattutto per alcune vette maigrettiane, dove un brulichio di varia umanità anima un racconto che con poche espressioni riesce a evocare, anzi a far vedere, uno spazio e a far sentire un sapore, un'atmosfera. Così come di Fellini non si finisce, oggi, di amare il piacere di racconti armonicamente sospesi fra sogno e realtà, pieni di ispirata poesia e di un umore un po' comico un po' melanconico, come in tre grandi opere della prima fase (Lo sceicco bianco, I vitelloni, Le notti di Cabiria), più che la grande macchina immaginifica - certo straordinaria - di La dolce vita e di Otto e mezzo. Scriptor cinematograficus, in virtù di una capacità iconica della parola, talora degna dei grandi francesi e dei grandi russi dell'Ottocento, e di un rapido montaggio di scene, Simenon incrocia per la prima volta Fellini in qualità di presidente di giuria a Cannes 1960, dove svolge un ruolo determinante nell'assegnazione della Palma d'Oro a La dolce vita. Quindi nel 1977 lo intervista per "L'Express". Simenon è assolutamente colpito e commosso da quel che egli definisce "affresco", un'opera che gli rivela ancora una volta un artista che lavora "molto di più con l'inconscio che con l'intelligenza". Prima e dopo l'intervista, il carteggio (inizio 1960, conclusione 1989) delinea un costante, reciproco accostamento tra due figure che colgono tanto le rispettive differenze, quanto le forse inaspettate affinità (ad esempio l'amore per Jung). Le une esprimono il desiderio di essere dotati di ciò che l'uno pensa essere la virtù dell'altro: a Fellini che ammira "il (...) talento senza limiti e la (...) sovrumana possibilità di disciplina nel lavoro" Simenon risponde di invidiargli la capacità di essere rimasto bambino e di gettarsi "in ogni cosa a testa bassa". In comune, a detta dello scrittore, essi hanno in particolare la capacità di essere mossi, nella loro facoltà creativa, da un impulso interiore privo di regole e non sottoponibile a esse. E tra iperbolici elogi ("gigantesco Fellini", "leggendario Simenon"), resoconti delle rispettive attività, confessioni di speranze e delusioni, il tutto ben chiosato da precise note dei curatori, è infine Fellini a tirare le somme: lui e Simenon, in fondo, hanno sempre raccontato sconfitte, anche se l'arte, dice Fellini, è "la possibilità di trasformare la sconfitta in vittoria, la tristezza in felicità".
recensioni di Pistoia, M. L'Indice del 1999, n. 03
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