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Dal capitolo primo: "Non sono uomo che si butti nell'ignoto alla leggera. Conosco per esperimento quanti pericoli minacciano l'uomo, quali agguati la sorte tende innanzi a lui. ...non racchiudo statue di divinità, ma un demone nemico. ...ma lui, maestro di scienza fine, non verrà mai a lotte conclusive. Sta rannicchiato e chiuso nel mio fondo.Si studia a farsi tollerare. Vorrebbe lo dimenticassi. Non far parlare di sè. Intanto, giudica e ispeziona. ...Gli animi profondamente religiosi e sensibili ai segni delle occulte leggi, obbediscono ai presagi, sono divoti agli oracoli, ai moniti, alle voci ineffabili per che il Divino si manifesta a noi". La casa ispirata di Savino è un'opera che rasenta la perfezione, dal punto di vista linguistico, della qualità della trama, dei contenuti storici, fantastici, spettrali, onirici e psicologici. Ovviamente non potrebbe piacere a chi si aspetta una ghost story classica di tipo anglosassone, debitrice dei soliti stereotipi del genere, molto più affine invece ed influenzata dalla grande letteratura fantastica della Francia ottocentesca. Un piccolo gioiello, di uno dei nostri migliori letterati del '900.
Romanzo breve di eccelsa qualità stilistica, inquietante, deliziosamente surreale e grottesco, a mio avviso una delle migliori opere di un grande autore quale fu Alberto Savinio, scrittore e pittore surrealista, fratello del più celebre Giorgio De Chirico. Prosa straordinaria, un vero spettacolo per gli occhi e la mente, un ritratto impietoso sui lati oscuri della natura umana, che ricorda a tratti la vena amara e surreale del primo Landolfi. Opera intimamente spettrale, una psicologia raffinatissima e disturbante caratterizza questo lavoro dalla prima all'ultima pagina, Stile erudito e articolato, ma al contempo, fluido e scorrevole, ammaliante e cerebrale, Savinio patrimonio semi dimenticato della grande tradizione (e avanguardia) della letteratura italiana.
E' caricatura di bruttezza "La casa ispirata" di Alberto Savinio. E' tela dipinta oscura, a luce tenue, buia immagine in cui vedere fattezze orride, distorte, digrossate: sembran incubi ma sono uomini. Parigi, Rue Saint-Jacques, numero 73. Via bibliofila, una volta, ridotta a immonda zona di "canove di vino" e "bocche misteriose di bordelli". All' angolo un emporio "espone in rutilanti mostre tremende gambe articolate, toraci di caucciù, natiche posticcie, occhi di vetro, mani flessibili, braccia meccanizzate, bendaggi di gomma ed altri pezzi di ricambio per mutilati". In terra "un rigagnolo di urina gialla". Qui sorge la villa di cui il narrante è ospite. Ad un tempo alcova edipica, salotto in putridume, museo di cere spaventevoli. Eccone una addentar del pane: "Recisone un pezzo con un colpo netto dei molari, allargando la bocca sotto le orecchie come un cane attacca un osso, mentre la crosta faceva scricchiolare e la maciullava con la mollica in una orribile palla che ad ogni ribatter delle labbra si vedeva passare dalla mascella sinistra alla destra, fissava con espressione di profondo disgusto il mozzicone rimastogli fra l'indice e il pollice ocrati dalla nicotina". E' in questo eccesso percettivo il senso ed il valore dell'opera di Savinio, che scove e afferra, scruta e muta, offre e svela il disfacimento in marcio dell'umanità che s'avvia alla guerra. Non v'è sbraito morale nè microscopia realista ma un insieme suscitato di anatomie misteriche, di fiati pesi, di carni sfatte tra simboli funerei e presagi minacciosi. Nani demoniaci, giovani dementi, ombre di gran vecchie, priapi barbuti, anziani di fibra morbida, madri di carne tremula son "spaventosa apparizione" tra pareti di rancido fetore, sono spettri in anticipo a dispetto dei fantasmi che spaventeranno il mondo, sono emblemi d'un orrore quotidiano e truculento che motiva e rende il folle di cui si è in sinistra attesa. E, lettori seduti all' accennato "convito di necrofaghi" già disgustiamo del cannibalesco pasto delle macchine impazzite.
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