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Annibaldis pubblica il suo secondo libro di narrativa a otto anni dal primo, Codici (Besa, 1999; cfr. "L'Indice", 2000, n. 3). Tanta apparente lentezza induce due pensieri: primo, che non si consideri solo un narratore, a paragone di scrittori immancabili in libreria a cadenza biennale e perfino annuale; in secondo luogo, che scelga i propri temi vagliandoli con scrupolo e perfino in modo sofferto, tanto da far pensare a ripercussioni dalla propria sfera d'esperienza.
Nel romanzo precedente il tema era l'idea, fantascientifica ma non troppo, che il trapianto d'organo porti in chi lo subisce una mutazione del codice genetico. Qui è tutt'altra cosa: è lo squallore della periferia urbana di un Sud identificabile con la città in cui vive l'autore, Bari. Non c'è una storia ma situazioni legate da un filo: il narratore, insegnante emigrato nel Nord, ritorna, rivede e rievoca la sua vita in un quartiere di case popolari segnato da degrado materiale e morale. Ritorna a tenere occupato l'appartamento popolare della madre da poco defunta, per tema che occupanti abusivi vi si insedino, defenestrando le masserizie che trovano. Questo è il leitmotiv di tutto il romanzo: l'occupazione abusiva perpetrata ai danni di inquilini di case popolari, talora intimiditi e spinti ad andarsene da gruppi camorristici; un pensiero quasi ossessivo, a cui il narratore-autore pare non si rassegni. Facile vedervi una denuncia di malgoverno locale, nel racconto esplicitata con l'esempio dell'assessore che concede garanzie in cambio dei favori d'una giovane inquilina, la quale poi finisce suicida lanciandosi nel vuoto.
Questo mondo di degradazione è infatti popolato da una umanità "la cui vita dice la quarta di copertina potrebbe essere descritta come deviante, immorale, quasi bestiale", in uno scenario di miseria e in un orizzonte di disperazione che sono altro pensiero lancinante dell'autore. Non è cronaca ma potrebbe esserlo: vengono riportati fra virgolette, e si direbbero autentici interi brani giornalistici. Al qual proposito bisogna ricordare che l'autore da anni lavora in quotidiano del Sud a larga diffusione.
Classicista, collaboratore dell'Enciclopedia Treccani, Annibaldis qui sviluppa uno stile senza fasto classicheggiante; cronachistico ma non frettoloso, bensì conciso e scorrevole, e altamente leggibile; incline a usare dialettismi, anacoluti del parlato corrente, ma in modo opportuno e parco e non per compiacimento di scrittura; non senza controllati spunti lirici legati alla memoria. Nello scenario che dipinge, non riesce a figurasi se non un epilogo apocalittico e pessimistico: evacuazione e distruzione dei fabbricati popolari a opera delle amministrazioni che quel degrado hanno creato con la mancanza di controllo, e che ora si illudono in una palingenesi: azzerare e ricominciare ripristinando la legalità, mentre già sono in agguato imprese edili "cui saranno venduti i terreni e alle quali saranno commissionate nuove costruzioni popolari".
La sintesi, angosciata ma propria dell'arte, è nella frase del narratore che può andare a mo' di conclusione: "Con quelle case popolari si sbricioleranno anche le aderenze della memoria, quelli che da qui sono passati, e che qui sono morti, che da qui sono fuggiti in tempo". Morire, fuggire. Nessun'altra soluzione all'occhio non cinico dell'autore, nessun altro sbocco alla sua denuncia indignata, eppure consapevole del vissuto suo e dei suoi simili in quelle condizioni. Cosma Siani
Il libro è una raccolta di episodi narrativi legati da un unico filo conduttore che ruota attorno al microcosmo esistenziale di una sola famiglia, protagonista del racconto eppure ai margini della foto di gruppo.
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