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Le ali del disgusto possono quietarsi nella durezza di un stato amorfo, inorganico (il cemento appunto), o devono comunque abitare la vita, patendola in ogni minima pustola, fra strati e strati di miseranda menzogna? Non sembra creato ad arte questo mondo per scansare e irridere ogni alto tentativo di grandezza? "La gente è fatta apposta per scovare l'intelletto e per annientarlo, sente che una mente è preparata a uno sforzo intellettuale e si mette in viaggio per soffocare sul nascere questo sforzo". Allora la solitudine, questa scelta estrema e rabbiosa che evada dalle grate del sociale, questa nicchia di bave e di deliri dove si è liberi almeno d'essere se stessi. Ma non è anch'essa in fondo una vanità al contrario? Siamo nello studio di Thomas Bernhard, sappiamo già cosa ci aspetta. Un attacco al potere come un lirico grido senza speranza, al puzzo di corruzione che infesta ogni filo d'aria e penetra negli aliti umani con ridanciana accettazione, "un capestro infinito che da secoli è stretto al collo di questo popolo cieco, nel quale la verità viene calpestata e la menzogna santificata, e nel quale la chiesa simula, il socialismo depreda e l'arte puttaneggia con entrambi". I tanti lati dell'infelicità, gli abbracci di un dolore che è sostanza fissa nei vani del pensiero, le misere impotenze di chi "sgambetta sopra l'abisso, del quale non sappiamo neppure quanto sia profondo. Ma poi che importa quello che sappiamo se in ogni caso è un abisso mortale". Un intellettuale vale di più di ogni altro essere? O è qualcuno che "calpesta sempre una persona". Il dolore degli altri dà una misura più leggera al nostro? Forse è quello l'atroce dilemma, "il contenuto di verità che c'è nella menzogna". Un uomo ai margini della malattia, un destino annullato, deciso, ma che forse ha già compreso ogni cosa. Gli dirà la sorella: "Tu frequenti i morti, io i vivi, perché tu hai paura dei vivi". Non mi sembra un timore da poco. Nutrire speranze. Non nutrirle. Libro stupendo.
Un'altra inarrestabile, agghiacciante ma comunque vitalistica riflessione sull'impossibilità di scrivere, cioè di vivere, ma anche sulla necessità di vivere, cioè di scrivere, (di) questo fallimento. Tra le righe una fulminante descrizione di Venezia "vecchia signora elegante alla quale si fa visita ogni volta per l'ultima volta per qualche giorno, non di più". Un libro che ti tiene in apnea fino alla fine, come sempre in Bernhard. Ancora una volta un epilogo che ti sorprende con l'inaspettata apertura di Rudolf ad una sofferenza (quella di Anna ) che non è più solo la sua ma che che anzi è molto diversa seppur altrettanto tragica. Ancora una volta, il mio cuore ed il mio cervello mi imporranno una pausa forzata di qualche mese prima di potermi riaccostare alla lettura del più grande scrittore (Austriaco) del XX Secolo.
Uno dei libri più "leggeri" di Bernhard ma lo stesso geniale. La situazione del narratore è realistica, il narratore per liberarsi dalla mortale solitudine invita la sorella da lui ma proprio quando le telefona per invitarla lei risponde che aveva proprio intenzione di passare a trovarlo, così arriva, però dopo qualche giorno lui non la sopporta più; lei è una persona di successo, lui è un semi fallito che si occupa delle famose "riflessioni sullo spirito" bernardiane, rintanato in casa tutto il tempo, lei è commerciante e denigra tutto il comportamento del fratello, gli inutili studi che lo avvicinano alla pazzia e che non servono a niente come è dimostrato dalla sua situazione, mentre per diventare ricca non ha mai studiato nulla; l'amore per la musica e per la letteratura sono distrutti da lei. Allora il narratore vorrebbe mandarla via ma non può perchè è stato proprio lui ad invitarla, mentre potrebbe se fosse stata lei a farsi invitare...la situazione sarebbe diversa, ma purtroppo non è stato così... Grande Bernhard, come al solito!
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