Nell'ambito del rinnovato interesse degli studiosi verso la formazione del giovane Gramsci, il presente volume si segnala sia per l'impostazione, sia per l'impianto interpretativo. E infatti al centro della ricerca vi è una accurata rivisitazione degli scritti giovanili di Gramsci. Essa era divenuta ormai ineludibile ai fini di una ricostruzione dell'intero pensiero gramsciano che potesse avvalersi degli enormi progressi degli studi intervenuti recentemente. Ma vi è di più: il punto di vista prescelto è che, "se si vuol capire Gramsci per ciò che realmente fu", è necessario non già "misurarne la maggiore o minore distanza da un punto fermo determinato a priori", bensì ricostruire "il processo genetico delle sue riflessioni" a partire dall'individuazione e dalla contestualizzazione delle sue fonti ispiratrici e dal carattere processuale della sua riflessione teorica e politica.
È qui chiaramente tracciata la prospettiva più adatta per misurarsi con un nodo cruciale del primo laboratorio gramsciano: e cioè il procedere mettendo "al servizio della prospettiva socialista moduli culturali, regole di vita, imperativi etici tratti da contesti intellettuali esterni all'alveo del socialismo, a seconda dei casi immettendovi un diverso contenuto esistenziale", oppure "mutandone la logica interna (
) o ponendone in risalto l'apporto tanto alla vecchia quanto alla futura organizzazione sociale". Si tratta di un processo che, a partire dalla realtà quotidiana di Torino in guerra, si allargherà a una visione più generale dei rapporti tra azione politica e vita morale, investendo via via le principali questioni della scena nazionale e internazionale. Anzitutto, i nodi irrisolti della storia dell'Italia liberale, l'assenza di una borghesia e di un ceto politico dirigente capaci di assolvere al compito di promuovere un moderno sviluppo capitalistico e di fondare istituzioni improntate ai principi liberali, così come era avvenuto in Inghilterra, con tutte le ricadute sulla mancata crescita della società civile e con tutti gli aspetti degenerativi sul piano dei dispotico-trasformistici metodi di governo e degli stessi comportamenti, costumi e modi di pensare del popolo italiano.
Nota giustamente Rapone come, nella polemica contro la "mancanza di carattere" della borghesia italiana e contro il giolittismo, ma anche nell'insistenza sull'arretratezza culturale, la subalternità e le chiusure particolaristiche delle classi popolari, Gramsci non solo fosse largamente tributario nei confronti delle avanguardie letterarie del primo Novecento, dell'impostazione critica della "Voce" e della battaglia salveminiana, ma per più di un aspetto riecheggiasse l'insegnamento di De Santis e di Bertrando Spaventa e non si sottraesse al confronto con gli stessi Mosca e Pareto; oppure, come nella contrapposizione tra protezionismo e liberismo e nell'assunzione di quest'ultimo a fattore non solo di progresso economico ma anche politico e a paradigma di una nuova moralità sociale, egli risentisse profondamente della lezione di Luigi Einaudi e di Edoardo Giretti.
E tuttavia, sulla base di un'approfondita disamina delle fonti, il volume dimostra l'inconsistenza delle tesi sia di quegli autori che hanno sbrigativamente assimilato Gramsci alle correnti del pensiero antidemocratico di quegli anni, sia alle interpretazioni che, alla luce dei prestiti liberali e liberisti presenti negli scritti giovanili, hanno contestato alle radici il marxismo di Gramsci. La critica del sistema parlamentare, infatti, non approderà mai in lui alla contrapposizione di principio tra governanti e governati, bensì, all'opposto, alla prefigurazione del suo superamento, mentre l'antigiolittismo ha in questi anni come punto di riferimento non già l'antiparlamentarismo e l'antiegualitarismo, bensì l'affermazione di un "completo e integrale liberalismo" che in Italia era sempre mancato.
Su un altro versante va segnalata, per lo spessore, la parte del volume dedicata alla genesi del marxismo di Gramsci, a partire dalla funzione essenziale di tramite svolta dall'incontro con la filosofia neoidealistica. È merito dell'autore aver ricondotto a un contesto unitario i molteplici ambiti di questo percorso: la centralità dell'iniziativa umana contro ogni trascendentalismo; l'attenzione ai movimenti reali come "forze motrici" del processo storico e il rifiuto di ogni astratto utopismo e ideologismo; la difesa del rigore e della serietà della cultura come regola di vita morale e di elevazione individuale non solo nel campo della "battaglia delle idee" nel tempo presente, ma anche e soprattutto nella prospettiva della futura società socialista; la polemica antipositivistica e il richiamo alla discendenza del marxismo dalla tradizione filosofica dell'idealismo tedesco.
Sono tutti elementi che concorreranno a definire fin dal 1916-17 i tratti originali del marxismo di Gramsci e in particolare la sua avversione contro ogni riduzione del materialismo storico a una concezione deterministica dello sviluppo e a ogni materialismo oggettivistico di stampo positivista. È qui riscontrabile un'impostazione del rapporto fra necessità e soggettività, fra struttura economica e forme della coscienza in cui è anche possibile leggere in controluce l'influenza dei Saggi di Antonio Labriola (ma su questo punto una più attenta considerazione avrebbe forse meritato la figura di Rodolfo Mondolfo). Ciò che tuttavia si tende soprattutto a sottolineare è l'autonomia di Gramsci, la sua adesione selettiva ad aspetti del pensiero filosofico di Hegel, di Croce e di Gentile, la sua utilizzazione politica e, non di rado, il suo rovesciamento dell'idealismo in funzione dei temi e delle battaglie culturali che egli conduceva nell'ambito del socialismo. Per questi motivi non sembra un esercizio utile discettare su un "Gramsci einaudiano", oppure "crociano o gentiliano" e in generale su un Gramsci "liberale". All'opposto, ben più ricco di risultati può essere il metodo di rapportarsi a "un Gramsci che nel costruire la sua concezione del socialismo assume e rielabora motivi della cultura del suo tempo, riconvertendoli e rendendoli funzionali a una prospettiva politica e storica alternativa a quella originaria".
In sede conclusiva si può qui solo accennare ad alcuni ulteriori temi spiccatamente gramsciani che rendono preziosa la lettura di questo volume: la questione dell'intervento in guerra e il rapporto privilegiato dei giovani socialisti torinesi con il Mussolini socialista; il confronto ravvicinato con Croce sulla "grande guerra", sulla sua evitabilità o inevitabilità, sul superamento degli stati nazionali all'insegna dell'egemonia wilsoniana e della Società delle Nazioni, ma anche l'estraneità di Gramsci al dibattito sul capitale finanziario e sull'imperialismo che nella fase precedente e nel corso della guerra aveva impegnato il movimento socialista internazionale; l'influenza di Péguy e Sorel sul tema dell'Ordine Nuovo da costruire fin dalla fase preparatoria della rivoluzione e sul presente che avrebbe dovuto anticipare l'avvenire, il che avrebbe trovato un terreno fondamentale di sperimentazione e di verifica nel movimento dei Consigli di fabbrica; e infine la Rivoluzione russa, non solo nella celebre accezione di rivoluzione contro il Capitale, ma anche nella sua irrisolta tensione fra autodeterminazione delle masse e disciplinamento "dall'alto" dell'intera società.
Claudio Natoli
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