Quando, nel 1912, Annie Vivanti pubblica Circe, ispirato alle memorie di Maria Tarnowska, protagonista nel 1910, a Venezia, di un drammatico caso giudiziario, è l'autrice di un romanzo recente di grande successo, I divoratori. Molti ricordano allora i suoi esordi poetici, sotto l'egida di Carducci, nel 1890; pochi invece sanno che durante il suo soggiorno, quasi ventennale, negli Stati Uniti si è affermata come autrice di novelle. È una professionista della scrittura, efficiente e versatile; lo dimostrerà trasformando in un romanzo accattivante gli appunti che la contessa russa ha scritto a matita, nel suo stentato italiano, in un quaderno destinato agli avvocati difensori. Attraverso il prisma della scintillante scrittura vivantiana, la vicenda sinistra di Maria Tarnowska si trasfigurerà completamente; diventerà la discesa agli inferi di una donna inconsapevole del proprio fascino distruttivo e straziata dalla nostalgia di un'impossibile vita normale.
Maria Tarnowska aveva dominato la scena del processo con la sua sconvolgente bellezza, ma era stata condannata per un intrigo alquanto sordido. Fidanzata, dopo il divorzio dal primo marito, con un vedovo, il conte Kamarovsky, lo aveva convinto a stipulare una ricca assicurazione sulla vita a suo favore. Poi, con la complicità di un suo antico amante, l'avvocato Prilukoff, aveva messo in atto un piano diabolico. Aveva sedotto un amico di Kamarovsky, un certo Naumoff, e l'aveva persuaso, per amor suo, a uccidere il conte. L'instabile Naumoff aveva effettivamente sparato a Kamarovsky, allora residente a Venezia, senza peraltro riuscire a ucciderlo (l'uomo sarebbe poi morto in ospedale, per le disposizioni deliranti di un chirurgo impazzito). Aveva in seguito reso ampia confessione alla polizia e la contessa e Prilukoff erano stati arrestati a Vienna. Processata a Venezia, la contessa fu condannata, con le attenuanti dell'"isterismo" e della tossicomania, a otto anni e quattro mesi, e poi rinchiusa nel carcere di Trani, dove Annie Vivantiandò a trovarla e conversò lungamente con lei.
Riferendosi al periodo del processo, Maria Tarnowska confida alla scrittrice di ricordarlo "come un'epoca di sogno"; "ma tutta la mia vita aggiunge poi credo sia un sogno". È questa affermazione a offrire ad Annie Vivanti quella che sarà la chiave del racconto, sotto il profilo estetico come sotto quello morale. Come in sogno, Maria Tarnowska ha vissuto, giovanissima, la schiavitù di un matrimonio avvilente, ha visto uno dei suoi primi amanti ucciso a tradimento dal marito, ha vagato per l'Europa ricorrendo alla protezione di uomini che non meritavano la sua fiducia. Immagini di sogno e d'incubo scandiscono la narrazione: se a p. 30 l'eroina incede, incoronata di rubini, mentre la musica tzigana la lambisce come una fiamma, a p. 91 uno dei suoi amanti la trascina in un teatro anatomico perché veda il cadavere di un altro uomo morto per lei. Sola certezza, la pietas della narratrice; di Annie Vivanti, che sa riconoscere, nell'avventuriera esecrata da tutti, la piccola collegiale che credeva di aver accolto nel grembiule una nidiata di rondini, e si era trovata a liberare, con orrore, uno stormo di viscidi pipistrelli.
Mariolina Bertini
Leggi di più
Leggi di meno