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Rottami, frammenti di frasi, cassette vuote, grosse buste commerciali, bruni, fradici, rosicchiati dal sale, estraggo dai flutti dei versi, dai cupi, caldi flutti del mar dei Caraibi, dove pullulano gli squali, versi esplosi, salvagenti, vorticosi souvenirs.
Ci fu un episodio che dai contemporanei venne sentito come una prova generale della fine del mondo in atto unico: il naufragio del Titanic la mattina del 13 maggio 1912 per la collisione con un iceberg. La nave era, allora, il non plus ultra della tecnica, e a bordo c’erano molti milionari autentici (i miliardari erano probabilmente di là da venire). Fu la fine della belle époque . Quel che venne dopo non fu la fine del mondo, ma la prima rata, la Prima guerra mondiale. L’argomento era già stato largamente sfruttato in libri e film. Enzensberger lo riprende nel quadro della sua analisi negativa del progresso: analisi negativa non in quanto escluda la possibilità di inquadrare il progresso in orizzonti positivi, ma in quanto constata adornianamente che finora esso è stato sempre accompagnato dall’ombra della follia – nella vita degli uomini, nei loro ritrovati e nelle loro teorie -, e che alla fine la somma del progresso è ampiamente soverchiata dalla somma della follia. Dalla prefazione di Cesare Cases
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Un testo straordinario! Enzensberger scrive della 'fine del Titanic' attraverso tre situazioni temporali e spaziali: quella dei passeggeri a bordo, quella di sé stesso scrittore a Berlino mentre redige la prima versione del poemetto e, ultima ma non meno importante, ancora una volta lui stesso ma negli anni '60 all'Avana mentre sulla spiaggia vede passare all'orizzonte, sul mare, lo stesso iceberg che moltissimi anni prima affondò il transatlantico! Fondamentali e strepitose la musicalità e la nitidezza visiva di un testo che cerca in qualche modo di raccontare fin dove la memoria del singolo e la follia di un' epoca naufragata possono spingersi, anche naufragando ma sempre lasciando una traccia: "Qualcosa che rimane c'è sempre"!
Piccolo capolavoro del '900 poetico, questo poemetto scritto negli anni '70 si lascia leggere dopo quarant'anni e non perde nulla della sua efficacia, grazie anche allo stile un po' fiabesco che ha reso celebre l'autore nella narrativa per ragazzi. Opera riuscitissima e gradevole alla lettura, descrive metaforicamente la fine forse di una società, forse dell'umanità intera, senza lasciarsi tuttavia soffocare dal pessimismo ma mantenendo sempre toni un po' giocosi.
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