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Il commissario Pepe - Ugo Facco De Lagarda - copertina
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Il commissario Pepe
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Il commissario Pepe - Ugo Facco De Lagarda - copertina
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Descrizione


È il 20 aprile del 1964 quando sul tavolo del commissario Gennaro Pepe, a dispetto del nome, settentrionalissimo commissario di una settentrionalissima città del nord est, viene depositata la bomba: due fascicoloni con su scritto "Villa Norma" e "Piazza Cavour 113". In questura, provvedimenti urgenti attendono di essere controfirmati e deliberati, precisamente sette mandati di cattura, undici di perquisizione, trentadue ordini di comparizione. Un vero terremoto, tale da cambiare i connotati della città e mettere a grave repentaglio il già sospettabile nome di almeno cinquanta famiglie. Innanzitutto le famiglie dei più stretti collaboratori del commissario Pepe. Abituato al clima d'idillio di una città in cui cinque miliardari e il vescovo si contendono, tra sorrisi, dispettucci e nascoste minacce, il potere, il commissario chiuderebbe volentieri l'inchiesta condannando come fandonie le presunte rivelazioni che vi sono contenute, ma echi della bomba si fanno già sentire in città ed è costretto, suo malgrado, a indagare. Un compito ingrato che Pepe svolge a modo suo, scoprendo che la religiosissima città è tutt'altro che perbene e che il velo di ipocrisia copre a malapena le sue perversioni.
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Dettagli

2009
24 settembre 2009
136 p., Brossura
9788862510660

Valutazioni e recensioni

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Cristiano Cant
Recensioni: 5/5

Svogliatamente preso come a rapire dal tavolo la prima cosa da portare via per stazionare col mio numero in attesa dentro un laboratorio d'analisi cliniche. Lo sconcerto ai primi due capitoli è stato non lieve: raffinatissima scrittura come ormai pochissime se ne raccolgono ovunque, un quadro narrativo cesellato a tinte fosche e invitanti, un torbido di provincia che aleggia coi suoi fumi ipocriti, i titolati riguardi fra i facoltosi di città, i segreti taciuti, le reverenze, gli omaggi, i perbenismi, mentre dallo scolo dell'anima salgono pian piano vapori di peccato, odorini di vizio, desiderio, in una selva di protagonisti vivi e sbagliati come si toccassero adesso, come li avessi intorno, qui, accanto. Razza immortale, linfa di natura. Ed è in queste finte acque che muove i suoi passi Gennaro Pepe, creatura indolente, romantica, solitaria. Scopre via via cosa si agita sotto ogni piastrella che sfiora, ma è come se nel marasma che lo investe l'unica via d'uscita più sana, più saggia, più riuscita fosse alla fine "l'anonima terra del nulla di fatto". Quei contrasti insanabili fra spiriti e eventi, caratteri e spinte sociali, l'indecifrabile chiarezza delle nature umane, "galantuomini antipatici, filibustieri amabili, nani erculei, giganti flaccidi, dotti infantili, ignoranti scaltri, reggono questo mondo pieno di contrasti. I risultati sono quello che sono. Spetta a noi correggerli, smuovere le acque ferme? Non è in nostro potere far risalire a monte il fiume". Ai piedi di un dilemma ormai dismesso si affaccia un male più grande, la sua solitudine stanca, la sua svogliata lucidità verso le cose. Quello che si ama di più in questa storia è la segreta potenza di una mente tranquilla che lascia correre il vizio come un fiume inarrestabile, in un dolce disordine senza cura, nel torpore di una provincia cupa, di smorfie mai svelate, nel roseo alone più sinistro, con quel mezzo prurito o smarrimento che lo scuotono, ma poi acquietati subito. Un gioiellino, credetemi.

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luciano
Recensioni: 4/5

Il racconto si svolge in una cittadina sonnolenta e tranquilla, dove non succede mai nulla. Una mattina il commissario Pepe legge una lettera anonima che denuncia la presenza, nella città, di due case di appuntamento. Il commissario apre un'indagine e dietro la facciata di perbenismo scopre un mondo di un cinismo insopportabile in cui contano solo il sesso e il denaro. Totale assenza di valori, un vuoto morale soffocante. Oggi siamo abituati a commissari che hanno una venerazione per la buona tavola, come, per esempio, il commissario Montalbano, invece Gennaro Pepe " non ama le trattorie, le tavolate, il confuso vocio dei buon gustai, che esaltano un piatto riuscito come se avessero un raro testo classico".

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Max
Recensioni: 5/5

Racconto lungo scritto straordinariamente bene. Forma ed eleganza del periodare, nel quale spicca l'accurata ricerca delle parole, evidenziano l'estrema cura dedicata dall'Autore a questo lavoro del 1965. Qualità forse scontate per qualsiasi scrittore, ma oggi assai difficilmente riscontrabili tra gli autori nazionali, troppo spesso intenti a "scriversi" addosso...

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