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Se Pollini si rivolge soprattutto alla struttura e Ashkenazy soprattutto al suono (che peraltro non sempre ho riscontrato sentendolo dal vivo), De Maria punta a una lettura storica di Chopin, del tutto giustamente esclusa la presunta svenevolezza di uno Chopin troppo femmineo, che appunto l'ideologia patriottica che sta dietro alcune sue composizioni esclude. In questa incisione (che presenta brani inediti), il pianista combina una bellezza del suono mai fine a se stessa con una lettura attenta agli aspetti strutturali. L'armonia di Chopin è innovativa, estremamente audace, spiccato il cromatismo (si veda il Preludio n.2, i cui in 21 battute e 1/2 su 23 manca un chiaro aggancio tonale), rilevante il ricorso alla modalità (in particolare nelle Mazurche); le strutture sono geometricamente elaborate (non a caso Chopin ammirava Bach); e anche il carattere nazionale si riscontra solo in forme pertinenti (polacche o mazurche), ma poi viene trasceso. Se, come già nel giudizio che di lui diede Schumann, la musica di Chopin, pur nella sua grandezza, è Salonmusik, la lettura di De Maria rende la tesi schumanniana vera nel più nobile significato. Ballate e Improvvisi sono eseguiti con libertà agogica, gli Studi con fuoco e tecnica inappuntabile, i Notturni con misura, sentomento e non sentimentalismo. Nella messe dei grandi interpreti (Cortot e Rubinstein, per citare i mostri più sacri), De Maria riesce a trovare una via interpretativa nuova che senza sacrificare nulla del suono e del virtuosismo sa toccare le corde sia del sentimento sia del raziocinio.
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