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Ardire pensare un itinerario di viaggio—da Islamabad a Pechino, da Xining a Lhasa, ma non è tutto qui—così vasto, articolato e fisicamente impegnativo, avvicina Mario B. ai grandi scrittori di viaggio inglesi, e con essi lo mette in fruttuosa competizione. Ma a suo modo egli ne esce a testa alta, sicuramente alla pari con la grande prosa di viaggio otto-novecentesca inglese o francese. Una scrittura sobria—tocchi rapidi e leggeri—e incisiva, sintetica… dà al lettore la possibilità di seguire il percorso passo dopo passo, luogo dopo luogo, di monastero in monastero, di incontro in incontro. Lo stile attico di Lisia, semplice ed elegante, gli è connaturale; gli dà modo di rendere realisticamente le splendide verdi valli cinesi della Manciuria e i paesaggi rocciosi, d’alta quota del Tibet occidentale e orientale, stranamente popolati di alberi, che man mano invadono lo sguardo dello scrittore, fino alla salita solenne all’Everest e a quell’arcipelago di monasteri tibetani che bene o male hanno attraversato i disordini della dominazione cinese e della “rivoluzione culturale”. Lo stupore legato alla scoperta di questi luoghi naturali, d’arte e di fede, intreccia i piani espressivi con il modo di essere del viaggiatore che si lascia condurre dall’ignoto, e, fine amante della fotografia, conosce dal vivo pittura e scultura del Gandhāra, ripercorrendo le tracce della dominazione di Alessandro Magno, e poi le colorate tangka tibetane; e con l’animus di farsi estasiare dello scrittore interessato al retroterra buddhista (interesse che le note esplicative ben delineano, con molti riferimenti a orientalisti italiani come il grande Giuseppe Tucci o Luciano Petech). Un Leitmotiv sotteso di incertezze e che risuona per buona parte della seconda metà del libro, è poi la controversia sull’XI Panchen Lama: fra le tante immagini del Panchen Lama che B. vede in Tibet affiancate alla fotografia del Dalai Lama, quale sarà il vero Panchen Lama e quale quello imposto dalle autorità cinesi?
Il libro contiene molte informazioni interessanti e i viaggi compiuti dall'autore sono senz'altro di quelli che suscitano meraviglia e curiosità per i luoghi descritti, soprattutto in merito alla ricerca sull'iconografia buddhista, fil rouge delle sue peregrinazioni. Ho trovato però noiosi (fastidiosi) i riferimenti personali: ai suoi stati d'animo, al suo abbigliamento, a tutte le persone che ha fotografato, alle circostanze in cui si è fatto fotografare etc. Tutte notazioni che i grandi viaggiatori britannici, tanto criticati dall'autore, non hanno mai sentito il bisogno di raccontare. Viaggiatori con una solida tradizione, appunto, e non turisti - per quanto ben informati.
Credevo di non avere mai sentito parlare della Valle dello Swat (Pakistan), finché in queste ultime settimane non ne ho viste piene le cronache di giornali e tv. Estremismo islamico, talebani, guerra, fughe disperate di popolazioni, morte, sangue eccetera. Finché mi è affiorato una sorta di vago ricordo nella mente e sono andato a pescare fuori dalla biblioteca questo libro comperato e letto qualche mese fa. Letto con grande piacere e interesse, devo dire, ma non essendo un viaggiatore a largo raggio non mi ero preoccupato di collocare nella sua giusta posizione geografica la Valle dello Swat. Perché eccola lì, subito in apertura del libro, la Valle dello Swat, raccontata con grande precisione geografica, storica e socio-politica, e vista in anticipo in tutti i suoi possibili e sgradevoli sviluppi futuri. E tra l'altro è praticamente lì che è avvenuto il fatale incontro ellenismo-Buddha. Ho riletto con vera passione queste prime 20-30 pagine, tenendo spalancata davanti una carta geografica, e le ho trovate ancora più belle e interessanti. Un gran bel libro, ce in questa luce appare quasi profetico, da leggere e meditare
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