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La contrada degli ulivi è un racconto lungo di straordinaria bellezza, per certi versi forse uno dei migliori lavori dell'autore siciliano. La vita della gente legata alla terra vi è descritta mirabilmente, con quell'eternità di tempo propria della civiltà contadina, in cui tutto appare ed è immutabile. Si tratta di poveri esseri ancorati al terreno, da cui traggono il minimo indispensabile per sopravvivere, in una condizione di costante precarietà. È presente una tendenza - che poi nei suoi lavori successivi si evidenzierà meglio - a un senso dolcemente cosmico, in base al quale è la natura stessa a diventare protagonista, e non solo gli uomini, che ne sono solo una parte. In La contrada degli ulivi il dialogo fra esseri umani e le cose ha una caratteristica di sporadicità, appare come un tentativo, peraltro già riuscito, di dare un senso comune a tutto ciò che esiste, che è presente, uomini, animali, vegetali e perfino i sassi. La narrazione procede come sotto l'incubo di una sempre possibile tragedia, in una vita che più che dare pare togliere, e in questo contesto si innestano tante piccole storie che danno la misura dell'ingrato destino dell'uomo, schiavo di quella terra, su cui si rompe le ossa e che poi finirà con il riprenderselo. Non è certo una visione ottimistica, però guai a pensare che Bonaviri intendesse ridurre l'esistenza a una materialità di semplice nascita, tribolazione e morte, perché in fondo all'uomo è riservata l'ancora di salvezza dell'amore, quasi a dire che l'esistenza si può riassumere in nient'altro che l'amore. Se Il sarto della strada lunga mi è piaciuto tanto, questo racconto per me è ancor più bello, tanto da considerarlo un capolavoro.
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