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Nel saggio G. Zagrebelsky contrappone all'etica della verità dogmatica ed inalterabile lo spazio fecondo del dubbio, gran generatore di idee, possibilità e dinamismo culturale. Da costituzionalista si domanda poi quanto la categoria della verità assoluta sia in grado di accettare la Democrazia che vive di questioni che possono essere risolte in più modi. Il prof. Zagrebelsky manifesta il fondato timore che una verità monolitica corra il rischio di diventare un'arma nelle mani di promotori di identità che, descrivendo le società come disperate e in sfacelo, in preda al nichilismo etico prodotto da una cultura degenerata, creino uno stato psicologico di crisi da far gestire poi arbitrariamente a super uomini dotati di poteri speciali. Tutto già noto dal secolo scorso. Questa tentazione di assoluto mal si concilia con la Democrazia che coltiva invece la responsabilità verso la dimensione collettiva, dove lo sforzo di tutti concorre ad attivare idee ed ipotesi da sottoporre sempre a verifica. G. Zagrebelsky procede ad un'ampia disamina sul ruolo della Chiesa Cattolica, grande depositaria dell'etica della verità, nel sostenere regimi politici anche non democratici che ponessero alla base del loro potere una verità dispotica non negoziabile. L'etica della verità entra sempre in collisione con il concetto stesso di democrazia. Nella "res certa" esiste l'errore da estirpare e correggere e il nemico da distruggere o da indottrinare. Tolleranza, confronto e comprensione vivono nella democrazia che, aprendosi alle opinioni di tutti, stempera l' intolleranza religiosa e favorisce un vero confronto. In un contesto democratico il dubbio è benefico perché garantisce la dialettica delle idee, la competizione politica e la pluralità delle istituzioni democratiche e ciò configura la democrazia come unica forma di reggimento politico che rispetti la dignità umana e riconosca ai cittadini la capacità di discutere e decidere sulla loro esistenza in rapporto agli altri.
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