Si dice che Talete, per osservare il cielo, cadde in una buca perché aveva perso di vista la terra su cui posava i piedi. Lo facciamo un po’ tutti quando, in fatto di amicizia, abbiamo in mente l’amico ideale – presente, divertente, comprensivo, premuroso – e paragoniamo i nostri amici in carne e ossa a questa specie di mito, perdendo il polso della nostra (e loro) umanità. I primi a costruire questo “mito” furono i filosofi antichi, da Aristotele a Cicerone, da Seneca a Marco Aurelio, per i quali l’amicizia è un sentimento elitario e virtuoso, superiore a ogni altro legame. Oggi, però, l’amicizia si declina in forme e contesti molto diversi dal passato – non da ultimo quelli digitali –, e guardare così alto porta a riflettere in questa immagine, illusoria e un po’ anacronistica, i nostri desideri, e a incorporarli nelle persone che incontriamo, esponendoci (ed esponendole) a cocenti delusioni. Peggio: l’idealizzazione dell’amico confonde quali siano i valori non negoziabili che ci devono unire. Gli amici “perfetti” non esistono, ma la certezza che i nostri amici, esattamente come noi, non sfuggano dall’accumulare difetti, più o meno nella stessa misura in cui accumulano pregi, non significa rinunciare a vivere autenticamente l’amicizia. Al contrario, proprio ripulendo il nostro parabrezza dalle facili illusioni dell’amico perfetto, riusciremo a vivere l’amicizia profonda e ad apprezzarla come la più salda e duratura forma di essere uomini tra gli uomini, arrivando nel contempo a dare il benservito, senza rimorsi né alibi, agli amici che non sono degni di portare questo nome, sbiadite – e talvolta addirittura pericolose – imitazioni degli amici “veri”. Si dice che Talete, per osservare il cielo, fosse caduto in una buca perché aveva perso di vista la terra su cui posava i piedi. Lo facciamo un po’ tutti quando, in fatto di amicizia, abbiamo in mente l’amico ideale – presente, comprensivo, premuroso, allegro – e lo rapportiamo ai nostri amici in carne e ossa, perdendo il polso della nostra (e loro) umanità. I primi a costruire questo “mito” furono i filosofi antichi, da Aristotele a Cicerone, da Seneca a Marco Aurelio, per i quali l’amicizia era però un sentimento elitario e virtuoso, superiore a ogni altro legame. Oggi, mentre l’amicizia assume nuove forme in nuovi contesti di vita, gli elevati modelli del passato, illusori e un po’ anacronistici, alimentano i nostri desideri e ci inducono a incorporarli nelle persone che incontriamo, esponendoci non di rado a cocenti delusioni. Peggio: l’idealizzazione dell’amico confonde quali siano i valori non negoziabili che invece ci devono unire e sui quali non sono ammessi sconti. Gli amici “perfetti” non esistono, ma quelli “veri” sì: la certezza che i nostri amici, esattamente come noi, non sfuggano dall’accumulare difetti, più o meno nella stessa misura in cui accumulano pregi, non significa rinunciare a vivere autenticamente l’amicizia. Al contrario, proprio calandoci consapevolmente nel presente e supportati da ciò che ancora ha valore della saggezza antica, riusciremo a vivere l’amicizia profonda e ad apprezzarla come la più salda e duratura forma di essere uomini tra gli uomini, e a dare nel contempo il benservito, senza rimorsi né alibi, agli amici che sono solo sbiadite – e talvolta addirittura pericolose – imitazioni degli amici “veri”. Una guida controcorrente per educarci all’amicizia, prepararci alle sue ambivalenze e difenderci dalle sue imitazioni. • Cosa ci aspettiamo dall’amicizia e cosa siamo disposti a dare? • Chi è il “vero” amico? Lo siamo? Li abbiamo? Li meritiamo? • Le pene in amicizia: quando ne vale la pena? • Sincerità, tradimento, affe
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