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Anno edizione: 2020
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"E con quello erano quattro. Quattro giorni che pioveva. (...) La schiena era rigida, le giunture anchilosate, ogni piccolo movimento gli procurava dolore. Sentiva il peso dei suoi sessantaquattro anni." (p. 7) Altro che chiare, fresche e dolci acque: vien giù che Dio la manda. Che risveglio, povero Francesco! "Sì, i risvegli si erano fatti difficili. Un torpore animalesco gli impediva di aprire gli occhi; la mente, vuota di stimoli, non lo contrastava. (...) E lui non poteva fare a meno di chiedersi cosa mai avrebbero pensato e detto i suoi tanti ammiratori se avessero saputo quante ore del giorno trascorreva indolente, seduto a guardare nel vuoto, a inseguire fantasmi. Si compiaceva di questo suo segreto." (pp. 16-17) Tu chiamala, se vuoi, accidia. E poi, del resto, quale "segreto": nel "Secretum" Agostino te l'aveva già spiegato anni fa... "Laura era giovane e bella. Non importa che in quell'aprile lontano fosse morta una donna obesa e invecchiata. Era giovane, perché con lei morivano tutti i giovani. Anzi, tutti gli uomini. Anche i vecchi muoiono giovani rispetto all'eternità. Giovani e belli, perché la vita, l'unico bene che possediamo, è bella." (p. 111) Già, Laura. Che non c'è, ma che non riesci a mandare via una volta per tutte. A meno che... "La canzone era finita, mancava solo il congedo. (...) Vuoto, ecco come si sentiva, come la vita. Ma felice, come chi ha perduto tutto e non si aspetta più niente. (...) Bravo, Francesco, si disse, meriti un bicchiere. Afferrò la caraffa, ma era vuota." (pp. 112-113) Bello e inquietante, in bilico perenne tra prosa e poesia e fra comico e tragico, (in)volontariamente leopardiano e sopravvissuto a sé stesso e alla Peste questo Petrarca resuscitato da Marco Santagata nel 2000 presso Sellerio e ritoccato nel 2020 per Guanda. Bello e (im)possibile.
Libro interessante e seducente nella sua particolarità: una giornata del Petrarca ormai anziano, alle prese con i propri acciacchi fisici e con la propria accidia, imbrigliato dai ricordi e dalle nostalgie di una vita giunta al colmo della gloria letteraria ma insoddisfacente sotto l'aspetto emotivo e sentimentale, per le unioni fallite e il figlio maschio naturale Giovanni, su cui tante speranze aveva appuntato e sulla cui educazione tanto si era speso, che si rivela invece un riottoso e rozzo avversario, votato all'autodistruzione. Così la composizione di una canzone destinata alle Rime, diventa un esercizio estenuante, interrotto e ripreso più volte, alla cui conclusione non basta l'ispirazione e neppure il ricorso alle risorse del mestiere. Notevole poi il duetto con l'amico Boccaccio dell'8° capitolo, verso il quale egli riversa benevolenza non disgiunta dalla diffidenza del vecchio artista verso il più giovane di cui coglie in pieno il gran talento innovativo. Insomma, un libro da leggere e gustare tutto d'un fiato, per ritrovare qualcosa della realtà letteraria e della vita dimenticata di colui che fu per secoli il modello indiscusso della poesia europea e che l'800 romantico detronizzò a favore di Dante
Santagata ci regala un Francesco Petrarca meno ‘divino’ e più umano; un Petrarca che, senza più filtri, attraverso la sofferenza fisica e psicologica, ci svela il Canzoniere e il suo vero significato
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