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Una riflessione dal retrogusto amaro su un mondo del lavoro che sta profondamente cambiando "dal di dentro". Scorrevole e caustico.
Il libro e bello, scritto bene e fa riflettere sul intreccio tra vita lavorativa e vita personale. La domanda che mi sono posto personalmente e all'autore in occasione di un incontro è che se sia giusto o meno che le discipline umanistiche concorrano a licenziare le persone... Cordiali saluti!
molto bello, si legge in un fiato (anche per l'esiguo numero di pagine), ma quello che lascia dentro dura sicuramente piu' a lungo. ed e' proprio questo quello cerchiamo in un libro, no? bravo l'autore, davvero!
Recensioni
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Ben strano mestiere scrivere lettere di licenziamento. Certo, c'è di peggio – e anche di più surreale – in quest'Italia stremata da un decennio di politiche del lavoro. Ma è lo stesso un lavoro duro, se in azienda i colleghi iniziano a chiamarti Killer mentre i capi ti riempiono di complimenti per l'efficienza con cui riesci a occultare la violenza del ben servito dietro a dei capolavori di ipocrisia.
"La punizione, per noi, è allora la rinuncia alla sua prorompente creatività, al suo altissimo profilo. La punizione è affrontare il calo di produttività che deriverà dalla sua dipartita. Mi creda, Sparacqua, la invidio. Invidio il futuro che le si apre davanti, la possibilità di camminare per mano con la sua famiglia e riscoprire le cose semplici della vita". Ovvio che dopo una lettera così pare brutto andarsene senza un sorriso, quasi contenti di essere stati licenziati, anzi con un po' di vergogna per la "fortuna" che ci è capitata. Quando si dice introiettare.
È questo lo spunto scelto da Andrea Bajani per il suo terzo romanzo, Cordiali saluti: il protagonista, un io narrante anonimo e dolente, è l'estensore di lettere di licenziamento tanto grottesche quanto convincenti (ed esilaranti) che un giorno, suo malgrado, entra nella vita di una delle "vittime". Scopre così che l'ex direttore delle vendite ha anche un nome e non solo una funzione, ha anche due figli e non solo una scrivania, e presto morirà. Ma non è il patetismo il registro di questo romanzo, che pure non esita ad andare fino in fondo nell'esplorazione dell'emozione e dei sentimenti nel tempo in cui anche l'interiorità è divenuta terreno di contesa sociale.
Una delle caratteristiche del lavoro cosiddetto postfordista, quello di una qualsiasi azienda del terziario avanzato per intendersi, è infatti proprio la caduta della distinzione fra tempo del lavoro e tempo del privato, fra parole della produzione e parole dell'emotività. Le lettere con cui vengono licenziati i dipendenti – nel romanzo, ma chiunque può far riferimento alla propria esperienza: oppure si pensi all'odierna comunicazione politica – sono un continuo richiamo alle emozioni, all'amore, agli affetti, a un mondo interiore espropriato dai soggetti e rivoltato contro di essi. Da dimensione dell'emancipazione e della libertà individuale a strategia di controllo e normalizzazione. Il linguaggio è lo strumento principale di quest'autentica colonizzazione del privato. Linguaggio della mistificazione e dell'inganno che non esita a utilizzare gli strumenti dell'estetico – a farsi seducente, retorico, narrativo: come un romanzo, una fiction – per narcotizzare e rendere sopportabile, anzi quasi desiderata, la quotidiana violenza di una condizione di sostanziale sfruttamento.
Ora, il discorso sull'interiorità attraverso la finzione era appannaggio della letteratura, saggezza propria di un sapere autenticamente umano prima ancora che umanistico. Cosa succede quando questa "tecnologia del sé" viene sottratta alla letteratura e utilizzata dalle forze inumane della ragione strumentale e del profitto? È l'estrema crisi dell'umanesimo, che in Cordiali saluti è incarnata dal protagonista, allegoria dello scrittore dimessosi dalla propria funzione critica e ridotto a "volenteroso carnefice" per i nuovi poteri; la cui sapienza affabulatoria viene impiegata non per demistificare ma, al contrario, per silenziare il disagio, il conflitto. Il protagonista, colui che con tanta difficoltà dice "io" nel romanzo, è un personaggio disarmato, afasico: ecco, è l'afasia la categoria fondamentale da tenere a mente nel leggere questo romanzo e nel ricondurlo a una riflessione comune che attraversa molta letteratura recente.
Anni di devastanti ingegnerie sociali hanno condannato un'intera generazione al precariato a vita (ma si dice flessibilità nell'orwelliana neolingua delle agenzie interinali). Non solo: ciò di cui si sente la mancanza sono le parole per ribellarsi a questo stato di cose, categorie politiche e sociali condivise necessarie a esprimere, e criticare, il disagio di una vita a contratto. Parallelamente, vigeva nel campo letterario la tendenza a sanzionare la scrittura dell'interiorità con lo spauracchio del sentimentalismo, impedendo di articolare l'emotività se non per vie indirette, ironiche, citazionistiche: come se solo attraverso una maschera l'autore potesse riferire a sé e alla propria condizione, pena l'incappare nel kitsch.
Un'afasia politica ed emotiva, quindi, quanto mai difficile da sopportare oggi. Penso agli ultimi lavori di Tiziano Scarpa e Nicola La Gioia (rispettivamente Kamikaze d'Occidente, Rizzoli, 2003 e Occidente per principianti, Einaudi, 2004): i loro romanzi sono una continua, inesausta indagine intorno a quel buco nero che è il soggetto contemporaneo, o meglio alla possibilità di rappresentarlo autenticamente nell'epoca in cui proprio la rappresentazione è lo strumento principale del potere. L'opzione di Bajani, partendo da stimoli simili, arriva a una soluzione diversa, ugualmente legittima, più vicina per certi versi all'Aldo Nove di La più grande balena morta della Lombardia (Einaudi, 2003). Se per i primi due al soggetto ci si può accostare quasi solo per via negativa, scontornandolo da tutto ciò che soggetto non è eppure lo attraversa (l'informazione, lo spettacolo, i media), come in una sorta di teologia negativa, per Bajani lo scontro si risolve nel confronto diretto con tutto ciò che altrimenti ricadrebbe nel cono d'ombra dell'afasia. Nel tentativo di esprimere – con tutti i rischi che ciò comporta, non ultimo il fallimento – il dolore, il lutto, l'alienazione, il sentimento, la violenza nascosta nei rapporti di lavoro: cercando, disperatamente, le parole che danno forma al silenzio.
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