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Joël Egloff offre in questo romanzo una sua interpretazione del genere apocalittico, affidando a un narratore contemporaneo e disincantato la descrizione di una Parigi invasa a poco a poco dalle crepe. Una serie di episodi raccontati in prima persona dal protagonista antieroe descrivono un'umanità patetica e spesso sconfitta dall'avanzata inesorabile di queste voragini che si aprono sempre più vaste nel terreno, inghiottendo persone e cose per farle riemergere solo in rari casi. L'angoscia dei personaggi è priva di speranza, perché non c'è vera comunicazione, e le poche attenzioni che essi si rivolgono reciprocamente si esprimono in infime azioni quotidiane, piccolissime in proporzione alla rovina che, come si lascia intendere, invade l'intero globo. Solo il protagonista, una sorta di Marcovaldo del ventunesimo secolo, riesce a cavarsela e uscire illeso, anche se moralmente distrutto, dalle più gravi sventure. I dialoghi hanno ritmo, alcuni degli episodi patetici o sarcastici colpiscono il lettore, ma il romanzo nel suo insieme lascia perplessi: una perplessità forse voluta dall'autore, che sceglie di non risolvere la metafora di una terra fragile, incapace di reggere il peso dell'uomo e che crolla in se stessa. Si ha l'impressione di trovarsi di fronte a un esercizio di stile, certo rispettabile, ma che finisce anch'esso per coprirsi di crepe, poiché la situazione, vagamente beckettiana, e forse più teatrale che romanzesca, non è resa con la dovuta efficacia.
Paola Ghinelli
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