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Rispetto alle posizioni dei neocons americani, quelle definite neoprog, presentate in questo volume, appaiono molto meno omogenee. Ben informata e ricca di spunti è l'introduzione di Roberto Festa, anche se la sbrigativa affermazione (pre-elettorale) che negli Stati Uniti la "sbornia patriottico-propagandistica appare superata" si è chiaramente rivelata errata. Come hanno mostrato le ultime elezioni presidenziali, infatti, le ragioni profonde della reazione all'11 settembre appartengono per molti versi a un patriottismo molto più complesso e radicato in America, che è alla base sia dell'isolazionismo che dell'interventismo unilateralista, in difesa dei valori politici, morali e religiosi americani da ogni pericolo esterno e interno. Tornando comunque alle "nuove tesi" neoprog, colpisce, come si diceva, la varietà di punti di vista ("moderati", liberal e radical) qui accostati. Michael Walzer, ad esempio, difende il potere americano: più che di "impero" sarebbe corretto parlare, a suo avviso, di "egemonia", la quale non è necessariamente unilaterale, e può benissimo aspirare al consenso, invitando peraltro gli alleati ad assumersi le proprie responsabilità. Ben diversa è la posizione di Howard Zinn, il quale ricorda che nel '91, quando tutti i sondaggi attribuivano alla guerra di Bush padre contro Saddam Hussein il sostegno quasi unanime della nazione, egli rimase sorpreso nel vedere quanti, ciononostante, si trovassero in sintonia con le sue posizioni pacifiste. La verità, secondo Zinn, è che la diffusione delle opinioni favorevoli alla guerra era molto superficiale. Ragionando e spiegando ci sarebbe dunque ancora speranza, a suo dire, per la "sinistra" negli Stati Uniti.
Giovanni Borgognone
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