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Anno edizione: 2016
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Alla fine di questo bel romanzo, accade quanto è preannunciato dal titolo: tutto crolla con l’arrivo dei bianchi in mezzo al popolo Igbo, nel basso Niger. Fino a quel momento l’esistenza del clan Umuofia, costituito da nove villaggi (con diecimila guerrieri), è trascorsa nel rispetto dei costumi e delle credenze ancestrali. Importante anzitutto è la guerra e, al principio della storia, sta per scoppiarne una contro una tribù vicina, nel cui mercato è stata uccisa una donna di Umuofia. Ma la tribù colpevole del crimine si affretta a compensare quella perdita con la consegna di una ragazza (che sostituerà la donna uccisa) e di un ragazzo quindicenne, Ikemefuna. Quest’ultimo viene affidato a Okonkwo, valoroso guerriero, ex campione di lotta. Okonkwo, protagonista del romanzo, ha tre mogli e otto figli, è riuscito cioè a diventare un uomo importante e ricco, lavorando sodo, poiché il padre non gli ha lasciato nulla. Okonkwo ha da sempre detestato la pigrizia e la gentilezza, le due caratteristiche del padre, e infatti è collerico proprio per non somigliargli. Ed ecco che un giorno l’oracolo ordina che Ikemefuna venga sacrificato, e anche Okonkwo, pur amando il ragazzo come un figlio, partecipa alla sua uccisione per non essere considerato un debole. Passano le stagioni e gli anni, tra feste, tornei di lotta, matrimoni, funerali, malattie, processi, sortilegi, e tutto ciò nel culto degli antenati: “la vita di un uomo dalla nascita alla morte era un susseguirsi di riti di transizione che lo avvicinavano sempre più agli antenati”... Ottimo romanzo che traccia la vita degli africani prima dell’arrivo dei colonizzatori, e lo fa senza nessuna visione idilliaca (c’è anche crudeltà nei costumi tribali), ma con sapienza e con una magistrale sobrietà.
Libro eccezionale, che dice del dramma e della violenza della colonizzazione. Autore in grado di usare la lingua in modo originale e meditativo.
Il mio primo approccio alla narrativa africana. Il racconto è solenne, quasi epico; il protagonista potente e controverso. Lo stile è dritto: nessun onanismo cerebrale, niente sciccherie fantastiche. Giudizio molto positivo, tanto che ho già acquistato gli altri due racconti della trilogia.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Le cose che crollano, nell’Africa occidentale di fine Ottocento in cui il romanzo è ambientato, sono quelle che hanno sostenuto per secoli l’esistenza comunitaria del popolo igbo. Sono quelle in cui ha sempre creduto Okonkwo, protagonista del racconto, che muore suicida perché vede scomparire i valori del clan e i costumi del suo vissuto. Nel suo mondo tutto si disgrega, crolla, va a pezzi, mentre si sgretola la narrazione identitaria che ha tenuto insieme nel tempo famiglie e villaggi di Umuofia. Il romanzo si colloca in un momento di rapida trasformazione della società igbo.
Il tessuto sociale perde vigore e si sfascia sotto l’impatto violento dell’Europa imperialista e cristiana. Ma, secondo quanto narra Achebe, fattore concomitante di questa rovina generale è la debolezza intrinseca di quel mondo legato al passato, la sua rigida incapacità di adattarsi al cambiamento. Il romanzo ritrae perciò sia la tragedia della conquista, che quella del collasso interno. Ciò che rimane dopo il crollo è l’inizio di un lungo e faticoso processo di accomodamento, ma anche di appropriazione attiva della cultura occidentale per quanto può servire alla riconfigurazione e al rinnovamento del sé individuale e collettivo, dato che non si può tornare indietro nel tempo: è impossibile negare la storia. Lo scrittore si assume dunque il compito di riscrivere la storia africana, distorta o cancellata dalla storiografia europea, da una prospettiva interna ad essa, e ritorna al passato precoloniale non per nostalgia di quel passato, che comunque è perduto, ma perché esso costituisce la base ideologica per il suo controdiscorso: è il terreno di una storiografia alternativa. L’originalità di Le cose crollano sta proprio nello spostamento del punto di vista, nel fatto che assume una prospettiva ontologica africana, piuttosto che storiografica europea.
Due terzi del romanzo sono interamente dedicati alla ricostruzione della società igbo nella seconda metà dell’Ottocento, e i bianchi, l’Europa, l’Occidente non sono affatto al centro dell’azione, come nei romanzi coloniali della tradizione inglese, ma esistono solo in rapporto e in funzione al mondo nero. La rappresentazione degli “alieni”, che a poco a poco s’infiltrano nel clan di Okonkwo e gettano scompiglio fra gli abitanti di Umuofia, fa uso dei mezzi espressivi e dei punti di riferimento a disposizione degli igbo nella prima fase del colonialismo britannico. all’inizio queste creature leggendarie – che vengono prese per albini essendo bianche come il gesso, che hanno piedi senza dita e portano vetri sugli occhi – appaiono proprio ai margini del racconto. Il bianco è un oggetto visto dall’esterno e misurato in rapporto a ordinary men like us: gli igbo, i neri. (…)
Recensione di Annalisa Oboe
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