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scheda di Martini, F., L'Indice 1992, n. 1
Non è solo la dottrina filosofica inaugurata da Bentham e sviluppata da John Stuart Mill a costituire l'oggetto della critica di Caillé, ma in senso lato quel paradigma teorico che vuole l'azione sociale, di singoli come di gruppi, intellegibile e legittimabile solo in rapporto ai calcoli interessati dei soggetti individuali. Inizialmente circoscritto al campo dell'economia politica, tale paradigma avrebbe esteso la sua influenza alla sociologia (che pure all'inizio, ponendosi dal punto di vista della società come un tutto, di cui andavano indagati i fattori di coesione, ne avrebbe contrastato l'avanzata), fino a diventare la matrice vera e propria della maggior parte delle idee prodotte dalle scienze umane. Esistono certo - osserva l'autore - pensieri e indirizzi di ricerca non utilitari; il fatto è che stentano ad organizzarsi in un modello alternativo, che non potrà trovare affermazione se non edificandosi in opposizione all'utilitarismo dominante.
Nelle sue argomentazioni Caillé si avvale largamente dei lavori di Marcel Mauss sul dono, oltre che dei contributi teorici di Karl Polanyi sulla formazione del mercato, i quali ultimi offrono certo solidi sostegni alla polemica antiutilitaria, ma all'interno di una prospettiva di pensiero in cui il fattore economico è considerato alla base della vita sociale e il compito posto all'analisi diventa la riconsiderazione da un più ampio punto di vista istituzionale e storico del problema della sussistenza dell'uomo.
Convinto che nel campo delle discipline sull'uomo e la società non si possa "conoscere" senza domandarsi anche che cosa "dovrebbe essere" (l'utilitarismo, del resto, nasce dalla fusione di un progetto scientifico con un progetto etico), il sociologo francese non rinuncia ad esplorare alcune possibili implicazioni pratiche di un atteggiamento antiutilitario nella vita quotidiana e nell'organizzazione del sapere: dall'ampliamento delle possibilità lavorative a tempo parziale, all'istituzione di un reddito di cittadinanza, alla costituzione di gruppi di studiosi svincolati dalla ricerca e dall'insegnamento utilitari capaci di indagare i presupposti ed il senso dei vari saperi in una dimensione più generale.
Il libro riprende, in forma sintetica e spesso solo accennandoli, temi sviluppati dall'autore in maniera più articolata nel suo "Splendeurs et misères des sciences sociales" (tradotto parzialmente in "Mitologia delle scienze sociali", Braudel, Lévi-Strauss, Bourdieu, Bollati Boringhieri, Torino 1988) che andrà letto insieme con il "Manifesto" per una valutazione complessiva della portata, come dei limiti, di una critica che intende porre le basi di una nuova scienza sociale.
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