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Siamo nell'appennino anconetano, sul finire degli anni 80 del secolo scorso (anche se non è specificato) e l'ex comandante della stazione dei carabinieri di Arcevia, ora in pensione, narra in prima persona gli avvenimenti su cui dovette indagare poco prima del congedo; avvenimenti che turbarono la vita di alcuni nuclei familiari nei pressi di Casa Galla, ad un decina di chilometri dal paese, fino all'omicidio di uno dei protagonisti. Più che sull'assassino o sull'indagine (e qui sfido chiunque ad individuarlo durante la lettura, prima della fine del romanzo) vorrei soffermarmi su cosa è in verità "Il custode delle gesta": è un atto d'amore di Marcellino Marcellini alla sua terra e alla sua gente. Gente vera, semplice. Gente che non ha paura di faticare e che mantiene fortissimo il legame con la propria terra. Per capire bene come vivano e ragionano questi arceviesi bisogna rifarsi a come l'autore ci descrive Elio Bravi nel suo rapporto con la morte man mano che la vita trascorre. Ci sarebbero tanti spunti di riflessione, o semplici curiosità su questo romanzo da sottolineare, ma li si potranno incontrare leggendo il libro. E qui arrivo a ciò che più mi ha colpito di questo "noir": la scrittura raffinata e nello stesso tempo semplice. Marcellino scrive con naturalezza in un linguaggio elevato perché fa parte del suo DNA. E' quello il suo linguaggio: non ci sono cali di stile, il livello è sempre alto. E' una prosa poetica ed è un piacere leggerla. Il "fer filato" usato come sinonimo di filo di ferro in una causa in tribunale, oserei dire che è non solo una ingegnosa allitterazione ma una "callida iunctura" di rara bellezza. Ed è un piacere leggere questo romanzo perché raccontata in modo così mirabile c'è la vita, la vita vera.
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