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scheda di Quesada, M., L'Indice 1993, n. 6
Mostre omaggio a un pensiero critico come questa, tenutasi prima a Verona a Palazzo Forti; poi alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, sono difficili da farsi. I materiali da esporre provengono da opere e autori talvolta distanti tra loro nel tempo e preferiti per vie misteriose o per incontri avvenuti. Non sempre sono a portata di mano ma anche, come è stato per Venturi, in musei stranieri o sulle pagine dei libri. Pertanto, più della mostra che ha qualche caduta - come nel caso di Chagall e Renoir rappresentati solo con carte e di Arturo Martini di cui si è vista una copia in bronzo della famosa "Pisana"- si apprezza il catalogo che è una pregevole raccolta di scritti di allievi in ricordo del loro maestro, a lungo contrapposto a Roberto Longhi. I contrasti sorsero fin dai primi studi di entrambi sul Caravaggio e si prolungarono alle successive preferenze di Venturi per "Il gusto dei primitivi" (uscito nel 1926), mentre Longhi, semmai, amò di più il Rinascimento, sostenendo Carlo Socrate e Francesco Trombadori, autori degli anni venti, detti infatti neoclassici (ma questa posizione, dall'altro considerata reazionaria, non gli impedì di intuire la febbrile esaltazione della "Scuola di via Cavour"). A Torino, dove insegn• all'università fino al 1932, anno dell'esilio a Parigi e poi a New York per essersi rifiutato di giurare fedeltà al fascismo, Venturi sostenne il gruppo dei "Sei" e ancora Spazzapan e Martini, le cui opere gli sembravano non imitative della natura, ma sintetiche, disattente al dettaglio e alla bella forma. Per questi stessi motivi erano disprezzate da Ugo Ojetti, perchè dettaglio e forma avrebbero dovuto sempre derivare dalla tradizione italiana. I saggi di Maurizio Calvesi su Venturi storico e critico, di Cortenova sul metodo, di Enrico Crispolti sulla militanza di Venturi a favore della pittura astratto-concreta nella stagione postcubista del dopoguerra, sono tra i più utili della raccolta e servono a comprendere meglio, quasi in presa diretta, le difficoltà della critica d'arte italiana ad assumere un tono internazionale negli anni del regime, come pure a orientarsi fra astrazione e realismo marxista nei primi anni cinquanta. Il regesto degli scritti di Lionello Venturi in "L'Arte" e in "Commentari" - le riviste a cui collaborò rispettivamente dal 1903 scrivendo indifferentemente di Paolo Veronese o di Manet, di Arturo Martini o della Biennale di Venezia, e dal 1950 proponendo schede su opere ritrovate del Caravaggio e articoli su Fausto Pirandello ed Emilio Vedova - insieme alla bibliografia completa, forniscono una guida preziosa all'esplorazione del vasto continente rappresentato dagli studi, dalle passioni e dalle posizioni polemiche di uno dei più grandi critici italiani del secolo.
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