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Ottima sintesi.
Il libro ha alcuni passaggi (fase ottoniana, il periodo napoleonico, gli anni '40-'60 del XIX secolo) in cui si evidenzia tutta l'abilità di sintesi dell'autore nel rappresentare la complessità del mondo germanofono: alcune trasformazioni tuttavia rimangono implicite nella trattazione e ne rallentano forse una scorrevole comprensione. Ma si tratta pur sempre di compendiare oltre mille anni di storia tedesca in poco meno di trecento pagine. L'esito è molto lusinghiero.
Recensioni
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"Questo libro è fatto di omissioni": facendo proprie le parole usate dallo storico Dan Diner nell'introduzione di un fortunato volume di qualche anno fa (Raccontare il Novecento. Una storia politica, Garzanti, 2001) sembrerebbe che l'autore abbia voluto mettere le mani avanti: cautela peraltro più che legittima quando si coltiva l'ambizione di ricostruire la storia millenaria di quello spazio geografico, culturale, economico e politico dai confini incerti che oggi chiamiamo Germania.
Sin dalla premessa, l'intento reale di Mantelli risulta tuttavia essere un altro: quello di chiarire, cioè, con la scrupolosità tipica dello storico professionista, i criteri fondamentali metodologici e di contenuto alla luce dei quali ha dovuto inevitabilmente selezionare e, a seconda dei casi, privilegiare o trascurare alcuni elementi dell'enorme repertorio di materiale storico disponibile. Consapevole di non poter tentare altro se non un'introduzione generale e necessariamente sintetica al complesso di questioni legate alla storia dello "spazio germanofono", Mantelli ha innanzitutto privilegiato la dimensione politico-istituzionale, pur senza dimenticare occasionali ma puntuali riferimenti tanto alla situazione sociale ed economica, quanto, a partire dall'Ottocento, ai milieu culturali e ideologici che presupposero la formazione dei primi grandi partiti di massa. In secondo luogo, richiamandosi alla nozione di "spazio germanofono", l'autore ha, da un lato, evitato l'anacronismo implicito nel concetto generico di "Germania" che rischia di proiettare ai tempi di Tacito un concetto di natura statuale in realtà molto più recente e, dall'altro, messo in luce quella fitta trama di rapporti che legano stabilmente le aree centrali dell'Europa con quelle orientali, occidentali, settentrionali e meridionali, Mediterraneo compreso.
Un efficace ed equilibrato tentativo di sintesi, quindi, che non rinuncia né al rigore storiografico e alla precisazione di taluni aspetti delicati della materia (si pensi per esempio alla terminologia o all'uso di alcuni concetti complessi come quelli di stato e di nazione), né, soprattutto, al proposito di ricostruire gli eventi e i processi storici in una prospettiva complessa e di lunga durata, al punto tale da portare in primo piano i tratti più oscuri della recente storia tedesca, con il relativo corollario di domande circa la loro presunta o meno inevitabilità. E in effetti la discussione sul cosiddetto Sonderweg ovvero la "via particolare" della storia tedesca accompagna sullo sfondo l'intera esposizione di Mantelli, fino ad assumere rilievo decisivo nei capitoli dedicati agli anni della Reichsgründung, quando ossia, in seguito al trionfo della strategia "nazional-rivoluzionaria" di Bismarck, la Staatnation piccolo-tedesca fu costituita come entità non pienamente coincidente con la Kulturnation grande-tedesca: evento, quest'ultimo, che pur ponendo fine alla rivalità storica tra Berlino e Vienna fu nondimeno destinato ad aprire tra le due concezioni una tensione che si sarebbe risolta solo dopo la catastrofe del 1945 e il tramonto delle ambizioni mitteleuropee della Germania. D'altro canto, se la frammentazione territoriale, la differenziazione linguistica, culturale e socioeconomica nonché il contraddittorio intreccio di rivoluzione e conservazione costituiscono già di per sé fattori determinanti della "particolarità tedesca", Mantelli non trascura di porre in risalto il peso assunto dall'alta burocrazia di stato e dalle élite agrario-feudali prussiane, non tanto nel senso che esse impedirono un presunto "sano" sviluppo della società borghese, quanto nel senso che contribuirono a imprimere su di essa alcune decisive caratteristiche, fra cui il primato assegnato alla stabilità e alla sicurezza delle istituzioni o l'attenzione rivolta allo "sviluppo di istanze intermedie fra l'individuo e lo stato da un lato, l'individuo e il capitale dall'altro".
Sia pure con un'apparente concessione alla tesi della via specifica della Germania alla modernizzazione, all'industrializzazione, nonché all'unificazione politica, Mantelli corregge l'interpretazione tradizionale, soprattutto laddove afferma che, in tema di "via particolare", "quale non lo fu, salvo considerare il caso britannico quale strada maestra da cui ogni scostamento sia stato foriero di disastri?". In tale modo, domandandosi perfino se quello britannico non sia stato l'unico vero Sonderweg, apre la strada a una lettura in senso debole e in quanto tale del tutto condivisibile della tesi della particolarità tedesca.
Non è qui il caso di ripercorrere capitolo per capitolo la ricostruzione compiuta dall'autore, il quale, anche grazie a frequenti rimandi a un solido apparato critico e bibliografico, è riuscito a soffermarsi con adeguata precisione su tutti i principali eventi che contraddistinsero la quasi millenaria storia del "Sacro Romano Impero di Nazione Germanica", dalla sua fondazione nel 962 fino al suo tramonto nel 1803; la traballante esperienza del Deutscher Bund, segnata dalla rivalità austro-prussiana e dal fallimento del biennio rivoluzionario 1848-1849; la breve parentesi del Norddeutscher Bund, sorto a conclusione della "guerra civile intertedesca" del 1964-1966 ed egemonizzato dalla Prussia bismarckiana; la sorprendente edificazione che fu a tutti gli effetti un vero e proprio atto rivoluzionario del primo stato nazionale tedesco (1871); la travagliata vicenda della Repubblica di Weimar, condannata più dalla crisi del 1929 che non dalle sue pur numerose contraddizioni interne; la disastrosa esperienza del regime nazista, nei confronti del quale, alla nozione di totalitarismo, Mantelli sembra preferire quella di "caos organizzato"; la vicenda europeista e filoatlantica della Repubblica di Bonn così come quella filosovietica della Repubblica di Berlino Est; infine, il percorso ancora tutto da delinearsi, ma di per sé già estremamente ricco di spunti di riflessione, intrapreso dalla nuova Bundesrepublik riunificata. È proprio in queste due ultime fasi della storia tedesca che torna ad affacciarsi, secondo Mantelli, il tema della "via particolare": nel primo caso, costituendo una "sorta di pendant culturale della Westbindung adenaueriana"; nel secondo, parallelamente al riemergere di diffusi malumori rispetto alla ricostituzione di una Hegemonialmacht nel cuore dell'Europa e alla recente riproposizione da parte del governo tedesco di alcune linee di politica estera di ascendenza bismarckiana (si veda l'attenzione verso la Federazione Russa).
Nei confronti di questo lavoro, che risulta nel complesso di notevole utilità sia per il lettore esperto quanto per quello alle prime armi, soprattutto per il fatto di essere riuscito a proporre una sintesi convincente tra le esigenze dell'approfondimento e quelle della chiarezza espositiva, potrebbero essere infine avanzate due osservazioni: la prima, relativa a una certa disattenzione verso la storia delle idee; e la seconda, relativa a una forse eccessiva fretta nei riguardi della storia della Repubblica democratica di Germania (Ddr), che sembrerebbe rivelare da parte dell'autore la sostanziale accettazione di quell'interpretazione secondo cui la Repubblica federale di Germania (Bdr) fosse la sola pienamente tedesca e, in quanto tale, l'unica depositaria della legittima tradizione statuale faticosamente costruita negli spazi eurogermanici. Interpretazione, questa, che può avere oggi come corollario il permanere di una divisione, senza muri e senza confini, tra due Germanie economicamente e psicologicamente ancora distanti.
Federico Trocini
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