Sono passati settant'anni da quando Vittorio Sereni pubblicava su "Domus" un articolo intitolato La casa nella poesia (riproposto nel 2005 da Ivo Iori in un elegante libretto per i tipi dell'Università di Parma, con introduzione di Pier Vincenzo Mengaldo): il poeta degli Strumenti umani puntava allora l'attenzione sull'annessione alla lirica di "un genere affatto nuovo di incanti" ricavato dal "mondo (
) in cui è più visibile la mano dell'uomo", e seguendo una linea "oggettuale" si soffermava, per il Novecento, su Gozzano e soprattutto su Montale. Ad una genealogia nobilmente novecentesca di questo genere appartiene Dal corpo abitato di Matteo Pelliti (disegni di Guido Scarabottolo, voce di Simone Cristicchi, nel cd allegato), che si presta a una lettura narrativa ed esistenziale non lontana dal Giovanni Giudici di La vita in versi (con la memorabile Se sia opportuno trasferirsi in campagna, 1960) e, più a noi vicino, Eugenio De Signoribus (Case perdute, 1989); ma il tempo non è passato senza lasciar traccia nei possibili incanti e disincanti dell'abitare postmoderno, per cui quel tanto d'elegia che poteva richiamarsi a Pascoli (quello di "M'era la casa avanti / tacita al vespro puro
"), con i suoi ritorni e le sue appartenenze, ora si ritorce dolorosamente nel "grande esoscheletro / su cui scaricare le tensioni del Sé" (Traslochi), diventando la casa-corpo metafora di tutt'altro segno, luogo di disunione e inappartenenza, guscio di spossessamenti e traumi che dialettizzano interno ed esterno, passato e presente. Gli oggetti si rivelano allora matrioske sinistre custodi di occultamenti e rimozioni (Matrioske) che possono evocare persino Casa Bates, scena del crimine di hitchcockiana memoria: "Ogni casa coltiva / il suo doppio orrorifico e potenziale / ben prima di farsi miniatura / per il plastico del delitto" (Casa Bates), sulla soglia di esperienze fantasmatiche o sparizioni seriali (Allusa OBE: l'acronimo sta per Out of Body Experience), come per un volgere del crepuscolo in Twilight Zone. Il rapporto tra casa e corpo, come annuncia il titolo, è tematico e polivalente poiché questa e quello sono abitati (haunted, all'inglese) da ricordi e ferite che disegnano una topografia sempre provvisoria, ma proprio per questo significante, di esistenze calate nella serialità collettiva: "Vi scrivo dal continente popolato / dai "nuclei familiari", / gli animali a più teste censiti dall'Istat" (Dal corpo abitato); e se Pelliti riesce meglio di tanti epigoni tardonovecenteschi a far partecipi i lettori del suo inquieto abitare ed essere abitato, è perché il raziocinare e la stessa inflessione ironica (e autoronica) che informano i suoi versi non sono affatto la maschera per spacciare pillole di autocompiacimento o citazioni di citazioni, bensì il prezzo di un duro confronto che l'io va conducendo con quanto allontana giorno dopo giorno l'uomo da sé, dissipandone ogni sforzo di consistenza, ogni miraggio di felicità condivisa. Luca Lenzini
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