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Proiettata fuori dall'alveo spagnolo, esclusa dal servizio a corte e nell'esercito, privata del ruolo di principale interlocutore del potere, l'aristocrazia del Regnum Sardiniae avvertì a partire dal 1720 un forte disagio. Il risentimento aristocratico maturato in cinquant'anni di dominio sabaudo esplose tuttavia solo con l'insediamento nel regno di "consigli" rappresentativi delle comunità rurali, sottratti alla tutela feudale e funzionali al controllo regio del territorio. Da questi venne ai contadini sardi maggiore consapevolezza dei propri diritti, autorevolezza nel difenderli ed energia nel contestare gli abusi baronali, mentre l'antica nobiltà reagì con una radicale denuncia del dispotismo regio che, pur da un'ottica strettamente aristocratica, avviava la rivendicazione della peculiarità delle leggi del Regnum Sardiniae e dell'intangibilità di un patto originario tra sovrano e "nazione". Le tensioni allora sprigionatesi sarebbero confluite nei moti antipiemontesi e antifeudali degli anni Novanta.
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