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È stato recentemente pubblicato in traduzione italiana uno dei capisaldi degli studi di danza a livello internazionale, che mantiene intatta la sua forza dirompente anche a distanza di sedici anni dall'edizione inglese originale. Il volume nasce dalla pratica del suo autore, Mark Franko, in veste di danzatore e coreografo, e dall'insoddisfazione dello stesso in veste di spettatore, per le ricostruzioni di danze barocche proliferate negli anni ottanta del secolo scorso. Metodologia della ricerca storica e pratica scenica sono dunque interrelate per comprendere e (ri)costruire l'evento storico. L'orizzonte teorico che ha reso possibile il delinearsi di questa impostazione pone in primo piano la dimensione soggettiva dello studioso, l'esplicitazione del suo modus operandi e la percezione della qualità performativa del fare storia.
L'architrave su cui si regge la narrazione storica è l'attacco ai fondamenti del canone e la conseguente decostruzione, a partire dallo studio ravvicinato del balletto di corte, delle storie tradizionali della danza. La datazione della danza barocca è la prima mossa per passare a una definizione più ampia e problematica di "barocco" in riferimento a questa pratica sociale. In generale le ricostruzioni pratiche riguardano coreografie create dopo la fondazione dell'Académie Royale de Danse da parte di Luigi XIV (1661), per estendersi fino alla metà del Settecento. Franko, invece, guarda anche al periodo precedente, allineando la cronologia della danza barocca a quella della letteratura e della storia culturale francesi. Ingloba, cioè, anche il periodo che la storia dell'arte definisce manierista e avvia il suo discorso da quello che è riconosciuto come il primo esempio significativo di balletto di corte, il Balet comique de la Royne (1581). I generi su cui punta la sua lente d'ingrandimento sono la danza geometrica, il balletto burlesco e la comédie-ballet di Molière. In questo modo ridisegna i confini del balletto di corte, individuando all'interno di questa forma spettacolare una notevole varietà sia nelle realizzazioni sceniche sia nei portati ideologici e politici. Non da ultimo, Franko mette in discussione la rappresentazione che le storie tradizionali ne hanno fatto come di un immediato e ovvio antecedente del balletto classico, e lo ripropone a una mutata sensibilità storica postmoderna come il precursore, semmai, dell'autonomia e dell'autoriflessività tipiche della danza moderna dei primi del Novecento.
Alla base di questa rivoluzione epistemologica c'è una diversa concezione di cosa costituisca una fonte per lo studio storico della danza, e non solo barocca. Le ricostruzioni pratiche e la storiografia tradizionale si sono basate principalmente sullo studio incrociato di notazioni cinetografiche, libretti, materiali iconografici, costumi e così via. Il documento a cui Franko attribuisce nuova valenza è piuttosto il corpo del danzatore, letto come un testo e inteso come proiezione della soggettività nobile e regale nella messa in scena dei conflitti politici di quella società. Da questa prospettiva la danza barocca è presentata come un teatro di tensioni ideologiche e non come l'emblema della società cortese. Sulla scia di Hal Foster, Franko mira a stabilire un dialogo tra forme e periodi sulla base di stile, vocabolario e teoria, e non sulla sola "storia". Propone così di sostituire la tendenza a vedere il vecchio nel nuovo, tipica delle ricostruzioni che mirano a evocare ciò che del passato non esiste più con i mezzi di ciò che esiste oggi, con l'atteggiamento contrario, vedere il nuovo nel vecchio per sottolineare la radicale storicità degli antichi spettacoli.
Susanne Franco
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