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Un' eredità di avorio e ambra - Edmund De Waal - copertina
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eredità di avorio e ambra

Descrizione


Un'elegante vetrina nella casa londinese di Edmund de Waal contiene 264 sculture giapponesi di avorio, o legno, non più grandi di una scatola di fiammiferi, raffiguranti divinità, personaggi di ogni tipo, animali, piante. La vetrina è aperta, e i bambini di de Waal possono estrarre i netsuke - così si chiamano i minuscoli oggetti - e giocarci. Come facevano, ha scoperto l'autore, i fi gli di Viktor e Emmy von Ephrussi, suoi bisnonni, nel boudoir della madre, in un fastoso palazzo viennese della Ringstrasse, un secolo fa. Prima che Hitler entrasse in trionfo a Vienna e avessero inizio le persecuzioni e i saccheggi nelle case degli ebrei. Ebrei di Odessa erano appunto gli Ephrussi, commercianti di cereali e poi banchieri, con ville e palazzi sparsi in tutta Europa. Quello di Vienna, dove i netsuke arrivano nel 1899 da Parigi - dono di nozze ai cugini di Charles Ephrussi, famoso collezionista, mecenate, storico dell'arte, amico di Renoir, Degas, Proust - conteneva tante e tali opere d'arte che i minuscoli oggetti sfuggirono all'attenzione dei razziatori nazisti. Come sopravvivranno alla guerra, e come finiranno a Tokyo, dove de Waal li vede per la prima volta a casa del prozio che glieli lascerà in eredità, sono solo due delle tante, emozionanti sorprese di questo libro. Affascinato dall'eleganza, dalla precisione, dalle straordinarie qualità tattili delle sculture, l'autore, famoso artista della ceramica, decide di ricostruire la storia dei loro passaggi da una città all'altra, da un palazzo all'altro, da una mano all'altra, ricostruendo così anche la storia romanzesca della sua famiglia e regalandoci un libro capace di restituire l'atmosfera di intere epoche, di sigillare intere vite dentro un racconto perfetto.
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Dettagli

2011
25 agosto 2011
416 p., ill. , Brossura
9788833922348

Valutazioni e recensioni

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Emilio Berra
Recensioni: 5/5
Una storia nella Storia

Una gradita sorpresa, Un libro di grande bellezza, traboccante cultura e arte, scricco con squisita eleganza.

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Franz
Recensioni: 5/5
Bellissimo e inaspettato

Appena finito, mi è piaciuto moltissimo. Un'escursione nella storia dell'arte, nella vita di una famiglia ricca, ma piena di interessi e cultura, nella storia dell'Anschluss, nell'amore di un nipote per uno zio particolare e amatissimo, un giro intorno al mondo. Consigliatissimo!

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desiree
Recensioni: 5/5

Semplicemente meraviglioso, avrei voluto non finisse mai

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Voce della critica

I prodigiosi Ephrussi e le “statuine” ritrovate

Chi erano gli Ephrussi? Cosa sono i netsuke? È possibile, dopo anni di ricerche, scrivere in meno di quattrocento pagine sontuose e dettagliate – senza giudizi e sentimentalismi – una vicenda lunga un secolo e mezzo che si svolge in tre continenti? Le risposte si trovano in un volume prodigioso, per cui alla Buchmesse di Francoforte si sono scatenate aste. A spuntarla, per l’Italia, è stata la Bollati Boringhieri, un’istituzione per la saggistica, ma che ha titoli di narrativa per i palati più vari: Von Armin, Israel J. Singer, Lem, Wells, Eliade. Uno degli ultimi gioielli di Bollati Boringhieri è diventato così il rutilante “Un’eredità di avorio e ambra” (394 pagine, 18 euro), opera di non fiction, che pur avendo i tratti del memoir familiare, appartiene a molti generi e a nessuno, intrecciando storia, letteratura di viaggio, arte. L’ha scritta Edmund de Waal (il traduttore Carlo Prosperi), uno degli ultimi eredi di una dinastia ebraica originaria di Odessa, gli Ephrussi.

Una saga? Sì, ma che suona come un omaggio all’immortalità dell’arte e non ha certe stucchevoli caratteristiche delle saghe. È una consegna che l’autore – ceramista di fama internazionale e docente universitario – prende con se stesso nella prefazione: «Ritengo che saprebbe scriversi da sola, una storia del genere. Basterebbe inanellare qualche aneddoto dalle tonalità seppia, approfondire il racconto dell’Orient-Express, colorare la vicenda con i vagabondaggi per le strade di Parigi […] aggiungere qualche ritaglio sulle sale da ballo della Belle Èpoque recuperato da Internet… e voilà. Il risultato sarebbe un resoconto nostalgico. Nostalgico e inconsistente. Io, invece, non ho diritto alla nostalgia rispetto a quei vasti patrimoni perduti e al fascino di un secolo fa, e per di più non m’interessa l’inconsistenza».

Le vite dei suoi antenati, così, nel suo racconto lasciano tracce vive. In questo libro-mondo la voce del narratore cede il passo talvolta a quella del divulgatore – i ferri del mestiere sono quelli dello storico dell’arte – con una cura del dettaglio e del particolare fuori dal comune. Il contesto storico e geografico in cui si muovono gli Ephrussi è quanto di più affascinante abbiano offerto gli ultimi due secoli: la Parigi bohémien di fine Ottocento, quella della Terza Repubblica, la Vienna dei primi del Novecento (quella di Freud e Klimt), prima del declino e dello smembramento dell’impero austro-ungarico, il Giappone post-bellico, quello della ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale. Nel paese del Sol Levante, negli anni Novanta, de Waal riceve la collezione di 264 netsuke dal prozio Ignace, detto Iggie: i netsuke sono minuscole sculture settecentesche in legno, avorio o ambra (raffiguranti animali, uomini e oggetti di uso quotidiano, originariamente utilizzati come fermagli degli astucci portaoggetti dei kimono), qualcosa in più di un pretesto per ricostruire vite care e lontane, visitando i luoghi, raccogliendo testimonianze, attingendo a riviste e foto d’epoca, epistolari, opere d’arte; le “statuine” ritrovate hanno in sé identità ed epoche storiche, rivisitate come se de Waal le avesse vissute in prima persona.

Le vicende della famiglia Ephrussi – dominatori del commercio del grano a Odessa si trasferirono ad ovest – sono intrecciate con quelle dell’alta società e della cultura. Il rinfocolamento dell’antisemitismo disperse i suoi componenti, senza cancellarne del tutto le tracce, ritrovate da de Waal. Il loro nome è citato in racconti di Babel’ e Aleichem, come tra le pagine di Joseph Roth e Musil; Charles Ephrussi è ritratto in un noto dipinto di Renoir ed è uno dei modelli del Charles Swann di Proust: un dandy che frequenta salotti e teatri, un mecenate degli impressionisti, collezionista e critico, che farà i conti con il clima che peggiora nei confronti degli ebrei, a partire dall’affare Dreyfus. Il bisnonno dell’autore, Viktor, patriarca del ramo austriaco – prima che la sua fortuna e la Mitteleuropa naufraghino a causa dell’Anschluss e della seconda guerra mondiale – domina la scena economica e culturale di Vienna; sua figlia Elisabeth ha una fitta corrispondenza con Rilke.

Sono Charles, suo cugino Viktor ed Elisabeth, figlia di Viktor, nell’ordine, i custodi del netsuke (con la determinante partecipazione di Anna, governante della famiglia viennese), prima di Iggie, fuggito negli Usa, tornato in Europa nello sbarco in Normandia e finito in Giappone, dove vivrà fino all’ultimo con il compagno Jiro. Le loro storie, narrate meticolosamente, rendono più che appagante la lettura. Questione di bellezza, e questo libro è, a suo modo, un libro sulla bellezza.

Recensione di Salvatore Lo Iacono

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"Gli oggetti sono sempre stati trasportati, venduti, scambiati, rubati, recuperati e perduti. Quello che conta è come racconti la loro storia". Questa è la storia di una preziosa collezione di netsuke, piccolissime sculture giapponesi in avorio, ambra e legno di bosso: 264 pezzi (animali, scenette in miniatura di vita umile e quotidiana, soggetti erotici) che l'autore, il ceramista inglese Edmund de Waal, ha ereditato da un fratello di sua nonna, Ignace Ephrussi, stilista, soldato americano in Francia nel '44, poi finanziere in Giappone, morto a Tokyo nel 1994 quando il narratore ha compiuto trent'anni.
Ma questo libro che non somiglia a nessun altro, e forse anche per questo è divenuto in poco tempo un bestseller internazionale, è anche la storia di una famiglia ebraica, gli Ephrussi, originari di Odessa, che, partendo dal commercio dei grani, costruirono un impero finanziario tra la Parigi del secondo Ottocento e la Vienna del primo Novecento. Una storia narrata di scorcio, descrivendo le residenze successive di questi piccoli oggetti d'arte che, entrati in famiglia, migrano da Parigi (1871-1899, rue de Monceau), a Vienna (1899-1947, Palais Ephrussi sul Ring), a Tokyo e alla casa londinese dell'autore. Per raccontarla de Waal, che vide per la volta i netsuke nel 1991 in casa dello zio Iggie (aveva vinto una borsa di studio a Tokyo), indaga per anni, studia la storia di famiglia, visita le città, le vie, i palazzi, le stanze, approdando infine a Odessa, luogo d'origine delle fortune familiari. E la pietas per i netsuke si trasfigura nella miracolosa resurrezione di un mondo cancellato dalla violenza, di tanti uomini e donne che diventano a poco a poco persone della nostra famiglia.
Il primo è Charles Ephrussi, nato nel 1849 a Odessa, morto a Parigi nel 1905. Figlio cadetto del grande Léon, non ha il dovere di sviluppare il patrimonio di famiglia e può concentrare il suo talento sulla passione per l'arte. Raffinato collezionista, collaboratore e poi direttore della "Gazette des Beaux-Arts", galante frequentatore di salotti ben descritto dai Goncourt, amico di Proust (è uno dei modelli di Charles Swann nella Recherche), trasforma il suo appartamento dell'Hotel Ephrussi, a due passi dal Parc Monceau, in una galleria di capolavori. Estimatore e protettore degli impressionisti, riempie l'alloggio di Manet, Monet, Degas, Renoir, Sisley, Pissarro, che saranno poi donati alla città. In precedenza però, sempre all'avanguardia del gusto, era stato fra i primi a indulgere alla moda delle giapponeserie, acquistando la collezione che è l'eroe eponimo di questa saga. I 264 netsuke entrano nel suo studio, e nella Storia.
Ma il gusto cambia, e con esso l'arredamento. Parigi si spacca sul caso Dreyfus, i palazzi che accoglievano con onore intellettuali e banchieri ebrei li mettono alla porta, persino l'amico Renoir rinnega Charles. Gli umili netsuke stonano ormai tra gli ori e i marmi dell'appartamento stile impero. La collezione emigra a Vienna, regalo di nozze per il cugino Viktor von Ephrussi, nato a Odessa nel 1860 e bisnonno dell'autore, che nel 1899 sposa la baronessina Emmy Schey von Koromla.
Nell'immenso Palais Ephrussi sul Ring, quasi un palazzo reale, simbolo della potenza di una famiglia che ha ricevuto dall'imperatore Francesco Giuseppe il riconoscimento nobiliare per i servigi finanziari resi alla corona, la coppia gode di un'esistenza veramente regale. Viktor non è primogenito e quindi avrebbe potuto, come Charles, consacrare la vita agli studi. Ma il fratello maggiore Stefan "scappa con l'amante ebrea russa di suo padre Ignace" e viene diseredato. Sulle spalle di Viktor cade il pesante fardello degli interessi di famiglia.
E i netsuke? Finiscono in una teca nello spogliatoio della giovane moglie, ma il loro destino non è affatto malinconico. Al contrario. Emmy si cambia parecchie volte al giorno, aiutata dalla fida cameriera Anna: sono gli unici momenti in cui i bambini (la maggiore, Elisabeth, è la nonna del narratore) possono godere della compagnia della madre, ed è loro permesso tirar fuori dalla teca quelle figurine in avorio e legno e giocarci inventando storie, come se fossero soldatini di stagno. È il periodo più felice per i netsuke, se non per la famiglia, sulla quale incombono i gravosi doveri di Viktor, le irrequietudini di Emmy, donna affascinante e tutt'altro che fedele, e l'addensarsi di tempi sempre più cupi.
Dalla tragedia non si salverà nulla se non i netsuke. Nel 1938 il Palais Ephrussi sarà espropriato dai nazisti, con tutte le sue immense collezioni d'arte. I suoi padroni riusciranno a salvare, con gran pena, la nuda vita. I netsuke, però, verranno nascosti uno per uno nel grembiule di Anna, e poi nel suo materasso. Nel 1945 Anna vive ancora in una soffitta del Palais Ephrussi e li riconsegna a Elizabeth, che ha sposato Hendrik de Waal, quando rimette piede nel palazzo che non è più suo.
Andrea Casalegno

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La recensione di IBS

Alcuni hanno intarsi di ambra o di corno per gli occhi. Altri, fra i più antichi, sono leggermente consumati: l'anca del fauno disteso tra le foglie non è più perfettamente delineata. Si nota una minuscola crepa, un difetto quasi impercettibile sulla cicala. Chi l'ha fatta cadere? Quando e dove?

L’arte giapponese dei netsuke è antica e raffinata. Attraverso la modellazione di piccoli pezzi di legno o di avorio, allude alle qualità di materie diverse, evoca piccoli ed incisivi quadretti di vita, racconta le virtù di animali, traduce in una fissità minerale scene mitologiche.
Gli oggetti, naturalmente, portano sempre con sé la storia di coloro cui sono appartenuti, ma leggere nelle crepe di una tazza di porcellana la vicenda della famiglia cui quello stesso manufatto è appartenuto rischia facilmente di diventare un puro esercizio retorico, o di trasformarsi nella rievocazione sentimentale e sfocata di un momento storico mai vissuto in prima persona. Edmund de Waal, però, è un ceramista d’eccezione, un artista, e vuole trattare le parole con la stessa intensità e precisione che riserva ai suoi vasi.
Niente immagini sentimentali, dunque, né atmosfere virate al seppia. Per raccontare una storia come quella che de Waal ha deciso di raccontare, ci vuole una precisione assoluta: una tensione quasi zen verso la materia sfuggente e ricchissima che è al cuore del racconto. Quando la linea ereditaria cui appartiene lo rende depositario di una collezione di 264 piccole sculture giapponesi, de Waal sente il bisogno di attraversare gli ambienti in cui quegli oggetti hanno abitato, di ripercorrerne le migrazioni fra tanti paesi, di raccontare la storia della propria famiglia trasfigurandone i successi, le sfortune, i rovesci e le resurrezioni attraverso le vicende avventurose di quello zoo in miniatura, passato di mano in mano e oggi miracolosamente ancora intonso.
La storia raccontata in Un'eredità di avorio e ambra (il cui titolo originale allude alla lepre dagli occhi d'ambra fra i pezzi più pregiati della collezione) prende le mosse dalla passione per l’arte ed il bello che caratterizzò la vita di Charles Ephrussi, rampollo terzogenito di una famiglia di ricchissimi ebrei ucraini stabilitasi a Parigi verso la metà dell’ottocento. Charles, intenditore sui generis di tutto quanto ai suoi occhi rappresentasse un'idea di bellezza, è una figura che sola basterebbe a riempire una biografia strepitosa: colto, curioso, amante dell’arte e collezionista infaticabile, mescolò i suoi passi a quelli dell’alta borghesia parigina di quegli anni, incrociando le strade di romanzieri, pittori, musicisti che avrebbero con la loro opera gettato i semi di un lunghissimo germogliare umanistico.
Charles fu – fra le tante cose che avrebbe avuto modo di essere nella sua vita – precursore di quel japonisme che per alcuni divenne una vera e propria religione. S’imbatté nei netsuke importati a Parigi da alcuni mercanti, in seguito all’apertura del paese levantino ai commerci internazionali, e queste piccole, deliziose sculture gli piacquero al punto da spingerlo a riunire una collezione di grande valore, per farne dono al cugino Viktor nel momento del suo matrimonio con Emma, nella Vienna del 1899.
È il primo dei tanti passaggi di un testimone che, nella sua peregrinazione perpetua, accompagnerà le sorti di questa famiglia graziata dalla presenza di uomini e donne straordinari, passerà incolume dalla persecuzione degli ebrei e continuerà a rappresentare un ideale di grazia in tempi difficili, fino a ritornare per un periodo addirittura da quel Giappone dal quale era partito un secolo prima, fra le mani amorevoli di "Zio Iggie", colui che contagerà con la sua passione per i netsuke l'autore del libro e oggi impeccabile estensore di questa biografia famigliare dal respiro largo e molto ben scritta.
Edmund de Waal compie un’incursione audace in un territorio sconosciuto, e riesce con la sua sapienza di artigiano a tornire un racconto scintillante e preciso, vera e propria elegia dell’attenzione, cui ci piacerà tornare negli anni come si torna ad un oggetto amato.

A cura di Wuz.it

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Edmund De Waal

1964, Nottingham

Edmund de Waal, critico, storico dell’arte e professore di ceramica alla University of Westminster, è uno dei più famosi artisti della ceramica inglesi. Vive e lavora a Londra. Un’eredità di avorio e ambra (Bollati Boringhieri 2011)è il suo primo libro: subito accolto con entusiasmo dalla critica e dal pubblico, ha collezionato recensioni autorevoli e suscitato i commenti appassionati dei lettori, salendo inesorabilmente nelle classifiche di vendita. Ha ricevuto due tra i più ambiti premi letterari, il Costa Biography e il New Writer of the Year al Galaxy Book Award.

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