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Anno edizione: 2019
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“Che cos’è il diritto?”, “che cos’è la giustizia?”, “che cos’è lo Stato?” sono le domande a cui Davila risponde nel De iure, saggio sul giuridico fascinosamente irritante, perché egli soggioga o contraria il lettore, in ogni caso non lasciandosi facilmente decifrare per la densità del suo pensiero asistematico fatto di taglienti e luminosi frammenti, che nell’introduzione Garofalo collega rigorosamente, cosicché la fascinazione diventa comprensione chiara e tenace; intelligenza delle nervature dell’ardua filosofia daviliana. Il colombiano risolve il problema del giuridico col ricorso alla semantica, avendo respinto le insoddisfacenti soluzioni date dal giusnaturalismo, incapace di dimostrare i pretesi diritti naturali, e dal giuspositivismo, bisognoso di basarsi su essi. Egli individua un sistema di regole semantiche definenti il giuridico. Giuridico e logico costituiscono le due irriducibili categorie dello spirito: tertium non datur. Il logico si basa sul postulato, il giuridico sull’accordo. Di conseguenza visto “in purezza, la categoria del giuridico si scioglie allora in una definizione dichiarativa e in due tautologiche”: il giuridico è l’accordo, l’accordo è l’obbligo di rispettare quanto concordato, l’accordo è l’obbligo di rispettare l’accordo. Dalla definizione del giuridico escono “irraggiate” con un formidabile rigore geometrico le tre definizioni di diritto, giustizia e Stato: il diritto è la regola di condotta che nasce dall’accordo di tutti i soggetti paciscenti, la giustizia è l’osservanza di siffatta regola, lo Stato è la regola di diritto che assicura tale osservanza. De hoc satis: l’esegesi di Garofalo avrebbe danneggiato un pensatore modesto, mostrando i meccanismi logori degli aforismi fiacchi; invece conferisce a Davila un alto servizio. Per primo infatti il romanista fa uscire la filosofia daviliana dagli studi specialistici per fecondare la riflessione di chiunque apprezzi il pensiero giuridico come forma mentis del ragionamento deduttivo.
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