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Anno edizione: 2009
Anno edizione: 2012
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Come avviene il processo di percezione e decodifica del parlato? La linguistica ci spiega che riconosciamo i "pezzi" della nostra lingua, i suoi elementi minimi; in pratica ricomponiamo il messaggio come se fosse un puzzle. Ovviamente nessuno ignora, né tra gli esperti del settore né tra gli ingenui utenti, che qualche tassello di questo puzzle possa di volta in volta mancare, vuoi per difetto di articolazione da parte del parlante, vuoi per difetto di attenzione da parte dell'ascoltatore. Ciò non toglie che l'evento comunicativo in linea di massima abbia ugualmente successo; questo perché noi bilanciamo, da parlanti, la nostra buona articolazione e, da ascoltatori, la quantità della nostra attenzione, proprio per far sì che ciò avvenga. Sarebbe privo di senso, infatti, attivare uno scambio comunicativo che intenzionalmente non voglia sortire effetto, fatte salve le patologie e, comunque, la scelta di non comunicare.
Come questo testo lucidamente ci mostra, la linguistica, dal Novecento a oggi, si è arricchita di modelli teorici e di strumenti di analisi anche molto sofisticati per l'analisi del cosiddetto "significante fonico" e della sua pars minima detta "fonema"; ha però trascurato alcuni fattori che pure entrano in gioco nello scambio comunicativo e che anzi contribuiscono non poco alla sua decodifica: si pensi al peso del contesto, delle inferenze, del non-detto. La linguistica dominante, attenta per lo più al solo significante fonico e volta a ricercare al suo interno i contenuti dell'atto linguistico, di fatto ha escluso o marginalizzato a lungo dall'analisi linguistica tutto ciò che fosse in contraddizione con il principio della discretezza e della linearità del segno, cioè con la sua segmentabilità. Cosa resterebbe al ricercatore, si chiede quindi l'autore, se l'oggetto di studio non fosse segmentabile e non fosse possibile identificarne in maniera netta i confini? Certo gli strumenti di analisi fin qui adoperati risulterebbero inadeguati e forse l'esistenza stessa dell'oggetto correrebbe qualche rischio, almeno nella sua rappresentazione corrente.
Albano Leoni, linguista teorico e generale con un'esperienza ventennale nell'analisi dei suoni linguistici, trasforma questo rischio in una sfida e, rimettendo in discussione i fondamenti stessi della linguistica novecentesca, avanza l'ipotesi che categorialità e discontinuità siano il frutto delle esigenze poste dal ricercatore e traggano in fondo origine dalla cultura alfabetica che avrebbe irreversibilmente determinato il nostro immaginario metalinguistico. Contrariamente a quanto è stato finora sostenuto, è forse possibile, suggerisce l'autore, ipotizzare che il segno linguistico sia indeterminato, deformabile, plastico e pluristabile, in sostanza non segmentabile, almeno non fino al punto da identificare quelle porzioni di significante, prive ormai di significato, su cui sono costruite le fonologie novecentesche e postnovecentesche.
In questa prospettiva il parlato rivela una natura fisiognomica e si configura non più come la mera somma algebrica delle parti (linguistiche) che lo compongono, ma come un insieme, organizzato in modo gestaltico, di quanto è linguistico in senso tradizionale e di fattori contestuali. Nello studio del suo "volto fonico" e nella forte integrazione tra linguistico e para-linguistico risiede, secondo l'autore, la scommessa della linguistica del XXI secolo e il promettente luogo di incontro tra tutti coloro che si interessano di linguaggio.
Francesca M. Dovetto
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