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Demokratía. Origini di un'idea - Domenico Musti - copertina
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Descrizione


Alle radici di una esperienza politica e di una idea che hanno cambiato il corso della storia dell'Occidente. Iniziando dall'origine e dalla storia della stessa parola "demokratía", Musti segue l'evoluzione di questa idea sia dal punto di vista del modificarsi delle istituzioni democratiche sia, soprattutto, illuminando il progressivo maturare di quei valori - libertà, uguaglianza, trasparenza ecc. - che proprio allo sviluppo della democrazia sono strettamente legati. Nuova luce viene così gettata su una straordinaria esperienza, riferimento costante di ogni successiva forma di democrazia. Domenico Musti insegna Storia greca presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Roma La Sapienza.
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Dettagli

3
2006
28 marzo 1997
XXXIV-406 p., Brossura
9788842052104

Voce della critica


recensione di Bertelli, L., L'Indice 1996, n. 8
(recensione pubblicata per l'edizione del 1995)

In un articolo del 1989 M.H. Hansen difendeva la sua scelta di fondare l'analisi della democrazia ateniese sulla "morfologia politica" - vale a dire sulla struttura costituzionale - di fronte alla tendenza prevalente ad ancorarla alla descrizione del "sistema politico", vale a dire all'osservazione delle "forze extra-istituzionali, come i gruppi politici, l'opinione pubblica e la struttura sociale".
In effetti, anche se non si può certo accusare Hansen di nostalgie conservatrici per la vecchia 'Staatskunde' formalistica, in quanto la sua analisi dei meccanismi costituzionali è sempre strettamente collegata alla base sociale che li fa funzionare, bisogna tuttavia riconoscere che prospettive nuove nell'immagine della democrazia ateniese sono emerse soprattutto dagli studi orientati in senso latamente sociologico sulla classe politica (R.W. Connor), sull'incidenza dello status economico e sociale nella distribuzione del potere (J.K. Davies, R. Osborne), sull'interazione tra masse ed élite (J. Ober), sulla dinamica dei gruppi di potere nell'evoluzione delle istituzioni (M. Ostwald). La svalutazione della sfera ideologica, soprattutto nella storiografia anglosassone, ha messo in ombra non solo la validità della testimonianza aristotelica, giudicata poco attendibile in quanto troppo ideologizzata (R. Sealey), ma anche i risultati della ricerca che su di essa in passato si erano in larga misura fondati (M.I. Finley).
Sarebbe sorprendente che uno storico come Domenico Musti, con una solida esperienza marxista all'attivo, avesse trascurato il fattore ideologia nel suo contatto con la democrazia ateniese. La scelta di Musti è originale in duplice senso: innanzi tutto non si appiattisce n‚ sull'opzione sociologica n‚ su quella istituzionale; in secondo luogo parte dal centro del problema, la definizione di demokratia come viene presentata dal suo più prestigioso protagonista, Pericle, investito per l'occasione anche del ruolo di creatore di un modello teorico democratico. Contro uno scetticismo diffuso e autorevolmente rappresentato (Momigliano, Finley, Jones) che nega l'esistenza di una teoria democratica diretta, se non in sporadiche attestazioni, Musti si propone l'assunto di dimostrare positivamente che nell'Atene del V secolo esisteva una teoria democratica della democrazia e che questa è rappresentata nel suo momento teorico più alto dalle parole pronunciate da Pericle in Tucidide, II, 37.
È un osservatorio questo che permette a Musti, una volta accertata l'originalità e la storicità del discorso pericleo, di cogliere i caratteri della democrazia su due versanti, entrambi presenti nelle parole di Pericle ed entrambi rilevanti per una descrizione complessiva non solo dell'istituzione, ma anche del sistema sociale a essa sotteso: l'aspetto costituzionale di "governo della maggioranza" e in vista della maggioranza - quindi l'area del "pubblico" - e l'aspetto sociale del tipo di vita esistente in quel sistema - quindi l'area del "privato". Di fronte a chi ancora nega l'esistenza di una sfera del privato autonoma rispetto al "pubblico" - anzi dubita della stessa nozione di un "pubblico" come distinto dal "privato" (Cartledge nel recentissimo einaudiano primo volume della "Storia dei Greci", Meier e altri) - Musti afferma perentoriamente la compresenza armonica dei due ambiti, dove il "pubblico" non è solo l'apparato costituzionale attraverso il quale si governa la città, ma è anche l'istanza che garantisce l'autonoma - ma non antagonistica - esplicazione delle manifestazioni del "privato".
La democrazia ateniese pertanto si presenta come qualcosa di più della semplice ereditiera di precedenti esperienze aristocratiche orientate in senso "privatistico": essa prospetta sia un nuovo sistema egualitario di governo, sia un sistema di nuovi bisogni e di nuove attese sociali. Nel clima della democrazia periclea (ma forse non altrettanto si potrebbe dire di altre stagioni del sistema) sorge quello che Musti chiama "ottimismo dell'intelligenza", esteso anche alla iniziativa privata, e una generale attesa di un "diritto alla felicità". Questi aspetti, che confinano con un "edonismo" sociale, saranno interpretati dalla teoria politica successiva (Platone e Aristotele) come i maggiori difetti del sistema, insieme alla sua vocazione "anarchica" ("vivere a proprio piacimento"), critiche che in realtà suonano come conferma della solida compattezza dell'ideologia democratica rappresentata da Pericle.
Ma la rappresentazione periclea non è un fatto isolato, anche se è la "punta avanzata" della teoria democratica: al suo fianco si possono collocare altre voci (Eschilo, Erodoto, Euripide), che, sotto diversi profili, confermano quella diagnosi.
Anche se il libro di Musti non vuol essere un "manuale di istituzioni della democrazia greca", tuttavia la seconda parte è occupata dal confronto tra la teoria della democrazia e i meccanismi e le sedi istituzionali in cui essa si esprimeva: e il confronto serrato con le procedure politiche, che mette a frutto i risultati delle più recenti indagini istituzionali (con giustificata preferenza per i lavori di Hansen), non fa che confermare l'assunto di partenza, l'esistenza cioè di una teoria democratica della democrazia. In questa analisi istituzionale Musti usa e si confronta col testo aristotelico dell'"Athenaion Politeia", considerandolo a ragione la nostra fonte di informazione più ricca di dati e di strumenti interpretativi circa il suo oggetto. Un esito interessante di questa lettura aristotelica della democrazia è la valutazione del suo rinnovamento dopo la restaurazione del 403 a.C.: la "nuova" democrazia conserva i caratteri essenziali della "prima" (potere assembleare e potere giudiziario, anzi questo forse più esteso), ma inaugura anche un processo di razionalizzazione che emerge soprattutto negli aspetti della professionalizzazione della politica e della diffusione della classe di governo (i rhetores e gli strategoi), due fattori che permettono alla politica di raggiungere livelli di mediazione e di integrazione inediti nel V secolo.
Parlare di democrazia antica oggi evoca quasi per riflesso condizionato il confronto con la democrazia moderna, almeno sul piano della continuità teorica. E Musti non si sottrae a questo confronto comparatistico, che ritiene necessario in ragione del fatto che le moderne teorie repubblicane e democratiche, come dimostra la tradizione francese settecentesca, su cui Musti in particolare si sofferma, nascono anche da una rilettura della democrazia antica.
Un libro di non facile lettura, anche per talune durezze di stile, un libro che richiede di essere riletto per apprezzare tutte le suggestioni che il dialogo tra ideologia e istituzioni fa emergere. Nel solido impianto argomentativo, da cui risulta una persuasiva dimensione tanto della compattezza e originalità della teoria democratica quanto della razionalità dei suoi meccanismi istituzionali, forse è dato poco spazio alla voce del dissenso, cioè di quell'area della lotta politica, solo in parte istituzionalizzata e tenuta sotto controllo, che i Greci - anche ad Atene - chiamavano stasis, e che recenti studi sul tema fanno apparire come organica al sistema democratico, anche se in forme di minore asprezza e violenza rispetto ad altri regimi più conflittuali.

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