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La dinamica che caratterizza la postmodernità è il venire meno dei legami sociali, la “desocializzazione”, a causa dell’affermarsi di antropologie materialistiche contraddittorie tra loro ma che hanno in comune l’attacco alla visione cristiana dell’uomo, quella per cui esso sarebbe dotato di un’anima creata da Dio Uno e Trino e che lo porta all’”amore all’amore” ed all’”amore alla verità”. Fforde le prende in esame una per una, designandole anche con qualche neologismo di sua coniazione: l’“umanismo”, il credo di chi considera l’uomo come coronamento dell’universo senza Dio; il razionalismo di matrice illuministica; il “dirittismo”, ossia la convinzione secondo cui l’uomo dovrebbe essere considerato esclusivamente come portatore di diritti innati che però non sono più collegati alla legge divina o naturale ordinata da Dio, semmai a determinati gruppi in cerca di affermazione perché si reputano oppressi; il “societarismo”, per il quale l’uomo va considerato come un prodotto della società, concepita impropriamente come una specie di entità con vita propria, definita quasi sempre in relazione alla ricchezza e analizzabile e riprogettabile razionalmente senza tenere conto delle persone reali (ed è a questo filone che si può ascrivere il marxismo, tuttora operante come tendenza intellettuale anche in Occidente); l’economicismo, in cui l’uomo è un essere impegnato principalmente in uno sforzo costante per procurarsi risorse economiche; il “poterismo”, secondo il quale l’uomo è principalmente l’espressione di una pulsione interiore per ottenere potere; l’animalismo, ove l’uomo è il mero risultato di una evoluzione biologica; il “sessualismo”, nel quale l’uomo è visto in funzione esclusiva della sua sessualità; il “fisiologismo”, l'uomo come influenzato esclusivamente dalla propria costituzione fisica; il “sentimentismo”, per cui sono i modi in cui l’uomo “sente”, in senso lato, a determinarne atteggiamenti e credenze;lo “psichismo",che vede l’uomo mosso da una misteriosa “psiche".
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