Che cosa significò per le donne entrare a far parte del regno d'Italia, e dunque di uno stato costituzionale e nazionale, che in qualche modo parlava il linguaggio della cittadinanza e della libertà? E, soprattutto, come continuò quella storia? Come si intrecciarono i cammini della cittadinanza e della nazionalizzazione? E fino a che punto le italiane di oggi possono riconoscersi in essi? Già da questi interrogativi con cui si apre l'introduzione emerge l'ambizione e l'originalità di questo volume a molte voci, ideale prosecuzione di un convegno promosso dalla Società italiana delle storiche nell'ambito delle celebrazioni per i centocinquant'anni dell'unità d'Italia. Ogni "generazione" (breve, di vent'anni o poco più) è qui letta in rapporto a un passaggio specifico della presenza sulla scena pubblica del segmento di donne in grado di percepirsi ed essere percepite come italiane, cominciando dalle incerte ed elitarie cittadine del regno e arrivando alle combattive protagoniste della politica nella repubblica. Le tematiche su cui si fa leva di volta in volta sono l'incontro con la nuova "patria nazionale", la passione della scrittura, la forza del materno, la pratica della politica, le tensioni fra libertà e liberazione, il "passo lungo" delle nate "dopo i movimenti", mentre in conclusione tre brevi contributi si interrogano sulla "ostinazione dei progetti" e sull'"opacità del futuro" che caratterizzano il tempo presente. Ogni focus generazionale si intreccia con un ritratto biografico centrato sullo stesso tema: si passa così da Giannina Milli, Erminia Fuà Fusinato e Matilde Serao, chiamate a rappresentare i decenni che vanno dal risorgimento all'aprirsi del nuovo secolo, a Maria Montessori e Margherita Sarfatti per l'Italia giolittiana e fascista; da Nilde Iotti e Tina Anselmi, protagoniste dell'edificazione della repubblica, a Carla Lonzi, emblema della simbolica deflagrazione del paradigma nazionale sotto i colpi della critica del neofemminismo degli anni settanta. In chiusura, lo squarcio (auto)biografico di una lavoratrice della conoscenza degli anni duemila evidenzia efficacemente le molteplici ambiguità dell'oggi. Molto ci sarebbe da dire sulle potenzialità e i limiti di questa scelta centrata sulle avanguardie attive: una scelta che, mentre pone un problema di rappresentatività, permette di rendere visibile l'autonoma capacità d'azione delle donne, la loro possibilità e capacità di essere riconoscibili come individue attraverso le loro scritture, le loro iniziative, i loro ruoli politici. E d'altronde il volume, centrato sul dialogo fra ritratti collettivi e individuali, evidenzia quanto sia importante evitare il rischio di schiacciare le opere e i pensieri delle donne nel loro vissuto personale: la biografia, paradossalmente, può essere una gabbia quando i soggetti storici sono le donne. Ma qui, grazie all'efficace uso della categoria di generazione, le figure scelte emergono appunto come esemplificative, più che come esemplari, del contesto storico in cui sono immerse, evidenziando tutta la ricchezza e la problematicità di questo intreccio, come scrivono le curatrici nell'introduzione e come del resto risulta chiaro dai diversi modi in cui i vari profili individuali sono fatti interagire con i saggi di contesto. Quanto alla proposta interpretativa del volume, la scrittura, la maternità e la politica sono presentate come le tre aree privilegiate attraverso cui si può seguire il percorso di acquisizione da parte delle italiane di spazi progressivi di cittadinanza all'interno dello stato nazionale, fino alla sua crisi. Sin dai decenni immediatamente successivi all'unità, emergono l'ambivalenza e le aporie di tale percorso. La maternità è la sfera che meglio testimonia le contorsioni del primo emancipazionismo, che nella valorizzazione del ruolo materno individua, a ragione, la possibilità di un rafforzamento delle donne come soggetto di cittadinanza. Tuttavia, come segnalano i confini limitati della polis liberale e ancor di più le torsioni illiberali della nazione fascista, il materno si rivela un dispositivo complesso, non sempre facilmente gestibile in un'ottica di empowerment delle donne. E nonostante gli indubbi apporti del principio di uguaglianza su cui è incardinata la Costituzione del 1948, i paradossi continuano a segnare anche i primi decenni della stagione repubblicana. Sarà solo col neofemminismo che si riusciranno a far emergere i nessi contradditori di una polis rimasta sino a quel momento cieca rispetto alla fittizia neutralità dei suoi fondamenti, e dunque impossibilitata a metterli in discussione e a gettare le basi di un loro superamento, verso un nuovo patto di cittadinanza, pienamente inclusivo e paritario. Enrica Asquer
Leggi di più
Leggi di meno