Letto d'un fiato dà le vertigini questo racconto dell'evoluzione dell'alpinismo da Francesco Petrarca, che nel 1336 sale sul Mont Ventoux, in Provenza, alla guida svizzera Ueli Steck, che nel 2008 scala la Parete Nord delle Grandes Jorasses, nel massiccio del Monte Bianco, in due ore e ventun minuti. Non è una corsa, è un volo. Come narrare in meno di trecento pagine, ventisei capitoli e infiniti episodi la continua rivoluzione di tecniche, materiali e soprattutto idee che, in poco più di due secoli, ha completamente trasformato, moltiplicando le prestazioni, la velocità e il rischio, l'avventura entusiasmante della scalata su roccia e ghiaccio (anche se qui "alpinismo" va inteso in senso stretto, poiché il mondo extraeuropeo compare soltanto con la Parete Rupal del Nanga Parbat, scalata dai fratelli Messner, e da un breve accenno alla Patagonia). Il lettore non specializzato potrebbe perdere l'orientamento nella rapida successione dei nomi, delle tecniche, delle vie, ma è aiutato da tre ausili preziosi raccolti in fondo al volume: sessantotto brevi biografie dei protagonisti, disposte in ordine cronologico, le opere da cui sono tratti i brani citati, che compaiono nel testo senza rimando di pagina, e il doppio indice dei nomi e dei luoghi, la cui ricchezza dà la misura della quantità di informazioni concentrate in così breve spazio. Giornalista, scrittore e alpinista, Camanni ha collaborato fin dai primi numeri alla "Rivista della Montagna", che affiancandosi nei primi anni settanta alla "Rivista Mensile" del Club Alpino Italiano rinnovò il modo di raccontare l'alpinismo, ha fondato e diretto il mensile "Alp", la voce più innovativa degli anni ottanta e novanta, e oggi dirige il trimestrale "Turin"; ha curato progetti per il Museo della Montagna di Torino e il Museo delle Alpi al Forte di Bard. Conosce a fondo la letteratura alpinistica, ha intervistato un gran numero di protagonisti e ha scalato di persona molte delle vie che descrive. Per ordinare una materia così complessa e varia l'autore ha scelto un filo conduttore: la scala delle difficoltà inventata dallo scalatore bavarese Willo Welzenbach nel 1925, che lentamente si impose, superando molti pregiudizi, e da allora rimane uno strumento indispensabile per valutare l'impegno richiesto da una scalata. Leggendo la relazione sulla via l'aspirante salitore trova descritti i vari passaggi, con la valutazione del grado di difficoltà, e può farsi un'idea precisa di che cosa lo aspetta. Chi giudica la difficoltà? Il primo salitore, che valuta i passaggi in base alla propria esperienza e a quella degli alpinisti che l'hanno preceduto. Può sembrare strano ma, nonostante l'infinita varietà degli scalatori, l'accordo è quasi sempre unanime. Welzenbach concepì una scala chiusa, in cui il sesto grado era il limite massimo. Man mano che le tecniche, i materiali, il coraggio, l'allenamento permettevano di salire vie sempre più impegnative, la via estrema diventava "sesto grado" e tutte le altre venivano declassate in proporzione. Questo gioco un po' masochistico resse fino ai primi anni settanta. Poi i progressi furono così sbalorditivi (fin dal 1968 Reinhold Messner supera il settimo grado su una magnifica parete dolomitica affacciata sulla Val Badia) che la scala dovette essere aperta verso l'alto. Le ultime imprese raccontate da Camanni toccano il dodicesimo grado. Leggere per credere. Andrea Casalegno
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