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Redatto vicino Monaco da mano ignota nella prima metà di Quattrocento, il Dialogus Salomonis et Marcolfi è una gustosa altercatio – ovvero disputa a due, fatta di rapidissime botte e risposte – tra il re Salomone, pieno di sapienza e di gloria, e il rozzo villico Marcolfo, brutto e sgraziato, ma eloquentissimo. Oggetto del contendere è il potere: l’uno difende, con toni “alti” e nobilitati da frequenti citazioni bibliche, i fondamenti teorici dell’ordine costituito; l’altro rivendica, con tutta la forza del suo osceno «sermo rusticus», il diritto a un nuovo ordinamento sociale – che si può già definire “borghese” –, basato non più su principi astratti, ma su precise istanze pratiche e materiali, in un crescendo concitato di tensione narrativa, fino al sorprendente e dissacrante scioglimento finale. Dalla Germania l’operetta giunse, non si sa bene come, fino a Venezia, dove conobbe una discreta fortuna e numerosi volgarizzamenti, tutti improntati però a un’impietosa e severa revisione censoria, tesa a limitarne – tramite tagli, moralizzazioni, deformazioni e sostituzioni di singole parole o di intere frasi – la doppia valenza trasgressiva, verbale e ideologica. Il bel volgarizzamento che qui si propone a fronte dell’originale latino, El dialogo de Salomon e Marcolpho – stampato a Venezia nel 1502 da Giambattista Sessa –, costituisce per l’appunto un esempio quant’altro mai significativo di questa operazione banalizzante, che non riuscì tuttavia a spegnere per intero la portata trasgressiva del messaggio di Marcolfo.
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Lettura gustosissima, da godersi con il tempo necessario: il testo originale, in latino medievale spesso di immediata comprensione, va confrontato con una versione italiana a fronte a sua volta "antica" e non sempre fedele. E' quindi indispensabile fare frequente riferimento all'apparato di note e spiegazioni dell'ottimo curatore. Ne emerge la freschezza di un testo provocatorio, che dimostra la variegata vivacità del mondo medievale.
"Questa storia si perde nella notte dei tempi e delle tradizioni". E' un dialogo tra il re Salomone, quello biblico, e il contadino Marcolfo; da una parte il re insegna ad essere saggi, dall'altra, il contadino, ribalta ciò che il re dice. Tra il 1606 e il 1608, il bolognese Giulio Cesare Croce si ispirò a questo dialogo per scrivere "Il Bertoldo". Nel corso del dialogo il re, che non ne può più dell'insolenza del contadino, ordina che Marcolfo sia arrestato e impiccato. Difronte a questa condanna il contadino si rivolge al re: "Signor mio, solo una grazia domando: che io sia impiccato in quel legno ch'io sceglierò", al che il re rispose: "Che tu sia impiccato ad un albero più che ad un altro poco mi importa". E fu così che Bertoldo passò attraversò la valle "de Iosaphat", salì sul monte Oliveto, attraversò il Giordano e l'Arabia, passò "per li deserti e piani appresso il mare rosso", ma mai trovò l'albero che gli piacesse "et cusì campò dele man del re Salomon" e così potè morire nel suo letto, in pace. Questo libro, pur avendo subito dei tagli e delle modifiche nel corso del tempo, non può che meritarsi il voto più alto.
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