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Dopo anni di corteggiamento e ricerca, finalmente sono riuscito a comprare il Catalogo fotografico –purtroppo ormai fuori produzione e disponibile a prezzi esorbitanti – nell'edizione italiana curata da Idea Books Edizioni (una rarità) sull'opera dell'artista Diane Arbus, in cui esce in tutto e per tutto l’anima di un’artista unica oltre che visionaria: «Una delle cose di cui ho sofferto da bambina era che non sentivo mai il pericolo di avversità. Ero chiusa in un’atmosfera di irrealtà e la sentivo come irrealtà. E questa sensazione di essere immune, per quanto possa sembrare assurdo, era dolorosa. Era come se per molto tempo non fossi entrata in possesso del mio regno. Mi pareva che il mondo appartenesse al mondo. Potevo imparare certe cose, ma non mi sembravano mai frutto della mia propria esperienza. Non ero una bambina con grandi aspirazioni. Non avevo il culto degli eroi. Non volevo suonare il piano o altro. Sapevo dipingere ma era una cosa che detestavo, e smisi di dipingere subito dopo finita la scuola media perché tutti mi dicevano continuamente quant’ero brava. Era l’epoca dell’espressione individuale e io frequentavo una scuola privata dove mi domandavano sempre: “Cosa ti piacerebbe fare”? E quando facevo qualche cosa, dicevano: “Bellissimo, magnifico”. Mi faceva venire i nervi. Mi ricordo che detestavo l’odore dei colori e il fruscìo del pennello sulla carta. Alle volte non guardavo e solo ascoltavo quell’orribile fruscìo. Non volevo che mi dicessero quant’ero brava. Avevo l’idea che se ero così brava. non valeva la pena di farlo. Mi è sempre sembrato che la fotografia tende a trattare la realtà, mentre il cinema tende verso la fantasia [...]. Ma quando si guarda una fotografia, non si può mai dimenticare che vi era un fotografo».
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