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Secondo dei quattro volumi nei quali sarà pubblicata un'ampia selezione dei fitti diari tenuti con sistematicità dall'ambasciatore Brosio (1897-1980), questo testo registra gli umori di uno spirito caustico e gelido, diffidente verso il centrosinistra che si andava profilando in Italia, propenso a una solida alleanza euro-atlantica. Dispiace immaginare quanta parte dei diari sia stata secretata, ma se ne capiscono le ragioni. Brosio affida alle sue pagine giudizi severi, talvolta malevoli, e non si perita di annotare sferzanti osservazioni sulle persone. Più che a una fonte trascritta per intero, siamo davanti a una corposa antologia, utilmente promossa dal Centro di ricerca e documentazione Luigi Einaudi. Il ruolo del diplomatico è interpretato dal liberal-conservatore Brosio come una missione da assolvere in forte autonomia rispetto a governi transitori e incerti. L'autore sostiene, all'altezza del giugno 1961, che "obiettivamente il pericolo comunista è assai più grave di quello fascista". Gli sembra che Fanfani compiaccia in tema di politica estera Nenni a fini elettoralistici. Perfino Emilio Colombo gli appare "dominato dal complesso di sinistra". In una lettera a Segni paventa che si stia "galoppando verso la semineutralità". Vuole una Comunità europea che non pretenda eccessiva libertà di manovra. Di Jean Monnet dice: "È un vecchietto serio e convinto, ma non mi convince": è troppo fiducioso. Paolo VI è "un prete arido dalla voce ingrata". Vien voglia di leggere i diari come una testimonianza dell'atmosfera di quegli anni. Da segnalare una perla, datata 5 novembre 1962: "Zagari e Brodolini ( ) pregano Malfatti di non invitare Basso a una colazione intima fra loro, perché 'è un bolscevico'". Tra i molti epiteti che Basso poteva meritare questo è il più assurdo: eppure sintomatico della "fraternità" socialista. Roberto Barzanti
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