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Anno edizione: 1998
Anno edizione: 1998
Anno edizione: 2012
Indice
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Poco più che un racconto...più che abbastanza.
Libriccino scorrevolissimo, che si legge in pochissimo tempo. L’unico piccolo difetto, secondo me, è la prevedibilità del plot twist finale, ma consiglio comunque di leggerlo, soprattutto in caso di blocco del lettore.
L'ho usato per esercitarmi con lo spagnolo e mi è stato molto utile, bella storia
Recensioni
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recensione di Luche, L., L'Indice 1998, n. 5
In settantatré pagine si narrano, con singolare equilibrio espressivo, sette giorni di vita di un professionista del delitto su commissione, che così descrive il suo passato: "Arrivo, ammazzo e me ne vado. Ecco cosa ho fatto negli ultimi quindici anni". Ma in quella che sarà l'ultima missione, il meccanismo che ha regolato la sua inappuntabile carriera professionale si inceppa. Il sicario viene tradito e lasciato dalla sua ragazza, la "gran figa francese" con cui ha vissuto negli ultimi tre anni e per la quale ha violato diversi precetti professionali.
Malgrado questo e altri segnali negativi gli sconsiglino di farlo, decide di portare a termine l'impresa che gli è stata assegnata, "perché, anche cornuto, un professionista è sempre un professionista". Deve eliminare in modo esemplare uno strano personaggio, un tipo che ha tutta l'aria di un benefattore e che suscita la sua curiosità. Contro ogni deontologia professionale, inizia a interessarsi alla sua vita, a domandarsi perché debba uccidere il membro di una Organizzazione Non Governativa, perché la Dea lo protegga, perché un moderno filantropo introduca nel mercato ottima droga a prezzi irrisori.
Sulle tracce della vittima, il killer si sposta incessantemente da un albergo di lusso a un altro, da Madrid a Istanbul, da qui a Francoforte e a Parigi. Giunge, infine, a Città del Messico, dove la vicenda si conclude senza negare al lettore il finale imprevedibile e dove il sicario, sacrificando il suo sentimentalismo alla ferrea logica professionale e alla ragione economica, rinsalda il suo status, minato da una serie di disdicevoli errori.
L'azione del romanzo, scandita da un succedersi di avvenimenti, di equivoci, di scontri e di incontri, ma anche dal monologo ossessivo del protagonista diventa via via più incalzante. Il ritmo dell'azione contagia la prosa scarna e visiva dello scrittore cileno, che è molto ben resa dalla traduttrice Ilide Carmignani.
Con "Diario di un killer sentimentale "Luis Sepúlveda propone un'opera originale rispetto alla sua produzione anteriore: si allontana dal racconto della sua vita e abbandona i grandi spazi naturali, la foresta, il mare, le distese della Patagonia, scenari di libri come" Il vecchio che leggeva romanzi d'amore "(Guanda, 1995) o "Il mondo alla fine del mondo "(Guanda, 1994; cfr. "L'Indice", 1994, n. 8). Sulla scia di scrittori come Paco Ignacio Taibo II e Jerome Charyn, sceglie di inoltrarsi nei territori metropolitani per svelare le nuove forme di criminalità, per mettere a nudo la "logica", gli abusi e i soprusi del Potere. Ciò che rimane invariato, dunque, è il proposito dell'autore di confrontarsi col disordine della realtà, di decodificare il caos attraverso l'arte della semplicità e dell'immediatezza.
«Volevo raccontare la storia di un essere bestiale, un criminale senza scrupoli, un uomo deluso ma dotato di una curiosa etica professionale che gli permette di fare bene il suo mestiere: uccidere.»
Un professionista è sempre un professionista, anche se il compito che gli viene affidato non è chiaro, anche se per mandarlo a segno deve calpestare i suoi affetti, anche se l'età lo rende sentimentale...
In questo caso il professionista è un killer alla ricerca del suo incarico, cioè dell'uomo che deve uccidere, l'ultimo incarico della sua carriera ormai giunta al termine.
Un esperimento per questo scrittore cileno che ha abituato il pubblico di lettori italiani (numerosissimo: circa un milione e duecentomila copie vendute in 5 anni!) a un altro genere di letteratura, di narrazione, di soggetti.
Qui l'autore si cimenta con una classica trama da giallo, che potrebbe tranquillamente fare da sceneggiatura a un film di successo o trasformarsi in un bestseller internazionale. Non manca nessuna delle componenti classiche di un romanzo di genere: amore, morte, tradimento, suspence, spostamenti rapidi, droga, DEA, trafficanti internazionali...
La critica si è già "scatenata" sui quotidiani, recensendo e facendo del romanzo un'analisi molto legata al contenuto, alla trama e forse meno alla forma, alla scrittura, secca, essenziale, molto dinamica, "anomala" per uno scrittore sudamericano. Egli stesso ammette che nel suo modo di fare letteratura "c'è la grande ammirazione per gli scrittori inglesi e americani di avventure, come Hemingway, Dos Passos, London, Melville, mentre non mi piace il romanzo psicologico o intimista" («il manifesto», 31-01-1998).Una critica divisa: se Valeria Parboni su «l'Unità» parla di "un raccontino breve ma fulminante come il proiettile di una Browning" e Matteo Collura afferma: "C'era da aspettarselo. Un narratore che dà alle stampe un romanzo come Un nome da torero, non si ferma lì" («Corriere della Sera», 18-01-1998), Francesca Borrelli su «il manifesto» (31-01-1998) definisce il libro "un thrilleruccio dal finale prevedibile".
In ogni modo, un libro da leggere, per conoscere un'altra "faccia" della personalità dello scrittore cileno, alle prese con un personaggio differente, nuovo e del tutto imprevedibile, come un "killer sentimentale".
E cosa può fare un killer che si ritrova ancora una volta solo, come sempre solo, e per giunta forzatamente alle soglie della pensione?
A cura di Wuz.it
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