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Questo quarto rapporto della serie avviata dalla Fondazione Istituto Gramsci nel 2003 ha ora un autorevole coproduttore nel Cespi (Centro studi di politica internazionale). Il tema prescelto è Il futuro del modello sociale europeo, ma i materiali offerti affrontano uno spettro di questioni più ampio, senza ambizione di organicità. Si tratta più di un almanacco che di un rapporto strutturato: comunque di utile lettura. Talune esortazioni, però, sorprendono: quali l'opportunità della "rinuncia ad alcune visioni eccessivamente astratte dell'Europa sociale come quelle che associavano aspettative di profonda ed estesa armonizzazione all'agenda di Lisbona". Che un coerente welfare europeo sia illusorio e al limite pericoloso è indubbio, ma di qui a qualificarlo una pura "perdita di tempo" ci passa. Sonia Lucarelli sostiene che l'Unione deve evitare la "facile trappola di rispondere alle responsabilità interne a discapito di quelle esterne". Solo che per evitare l'errore sono indispensabili accresciute risorse e una più solida intesa. Da fuori una specificità europea è colta. Ci si è affannati nel coniare per l'Unione convincenti etichette: "potenza civile" (Telò), "potenza normativa" (Manners) "area normativa", "forza gentile" (Padoa-Schioppa). Biagio De Giovanni ha evocato dell'Europa "l'ambigua potenza". Al pari del suo modello sociale, l'Europa è difficilmente definibile con una formula, però contiene fermenti e propositi che la connotano originalmente nel contesto mondiale. La costituzionalizzazione dei diritti alla base del modello europeo non è superflua o aggiuntiva. Ed è riduttivamente monetaristico dire, come fa Sandro Guerrieri, che "se la via costituzionale finisse per fallire del tutto, una maggior coesione tra i paesi dell'area euro, che sarebbe del resto opportuna in ogni caso, dovrebbe apparire tra le scelte obbligate".
Roberto Barzanti
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