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Dizionario biografico dei soprintendenti storici dell'arte (1904-1974)
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2007
30 novembre 2007
656 p., Brossura
9788873952831

Voce della critica

Il susseguirsi negli ultimi anni di biografie di prefetti, di direttori generali, di magistrati, di diplomatici e ora di soprintendenti storici dell'arte, insomma l'edizione di volumi dedicati alle "vite" di alti funzionari nelle varie amministrazioni dello stato riflette una situazione di crisi della storiografia italiana, ovvero la rinuncia alla tradizione degli "Annales" e l'adozione, in epoca di frammentazione dei saperi, della storia individuale come chiave di lettura? Con questa inquietante domanda Guido Melis avvia il suo saggio introduttivo che segnala tuttavia la sostanziale distanza delle moderne biografie dalle tradizionali "res gestae". Proprio perché si rivolge a gruppi professionali, attraverso l'attività dei singoli componenti, la trattazione biografica fa emergere infatti quella storia della pratica quotidiana, fatta di tradizioni e saperi applicati, altrimenti destinata al silenzio. In questa dimensione storiografica si colloca il Dizionario biografico dei soprintendenti storici dell'arte, progettato e fortemente voluto da Mario Serio per l'urgenza storica da lui sentita di dare loro il merito dovuto e di documentare quanto il prestigio della cultura italiana sia debitore agli storici dell'arte soprintendenti. Da storico, Serio ha riconosciuto che nella storia dell'arte la missione di tutela della memoria risulta maggiormente preservata dai rischi della tecnicità pura rispetto a certa archeologia dello scavo e architettura del restauro creativo.
Procedendo nella lettura, a dire il vero, si ha la sensazione di trovarsi davanti a un florilegio di "vite esemplari", ma, per nulla infastiditi e anzi ammirati per la totale assenza di retorica, si matura la convinzione che, in gran maggioranza, i protagonisti della storia della tutela artistica nel nostro paese – attivi in anni pionieristici, che vanno dalla istituzione delle soprintendenze (1904) all'istituzione del ministero per i Beni culturali (1974), e in periodi sciagurati e di rifondazione democratica, tra fascismo, le due guerre mondiali e la ricostruzione – abbiano effettivamente scritto pagine che un tempo si sarebbero definite eroiche di impegno culturale e civile.
In più, si percepisce l'identità unitaria dello storico dell'arte nelle sue componenti di ricercatore e di amministratore che impegna la sua specificità nella società civile. La biografia di ogni personalità trattata fa emergere infatti, per merito degli autori dei testi, modi individuali di applicazione, ma anche effettivi tratti comuni di impostazione e di metodo che indicano l'appartenenza a un corpo tecnico-scientifico allora fortemente specializzato e per questo capace di affrontare il governo della tutela, prima nei musei e gallerie e finalmente sul territorio, con autorevolezza scientifica che formava proseliti e produceva consenso assicurando continuità di tutela.
Si tratta di personalità che, con acribia, nonostante fosse esigua la destinazione delle risorse, costruiscono quel progetto italiano della salvaguardia avviato da quando lo scambio metodologico tra università e soprintendenze aveva improntato la cultura degli storici dell'arte formati alla Scuola di perfezionamento di Adolfo Venturi e poi profondamente mutato, fino alla deriva attuale, quando la Direzione generale Antichità e Belle Arti (organo d'eccellenza del ministero della Pubblica istruzione) viene trasformata in ministero per i Beni culturali, nell'illusione che il corpo tecnico potesse improntare di contenuti specifici la burocrazia amministrativa e che l'autonomia potesse portare maggiore forza politica e investimenti economici a favore del patrimonio artistico.
È il saggio di Andrea Emiliani, che da tempo ci ha insegnato a leggere la storia della tutela come elaborato di contesto nell'articolazione geografico culturale della storia dell'arte, a dare ragione del laboratorio storico delle personalità biografate ricostruendo il "sistema delle arti", indagato con severità e forte partecipazione. La "conclusione grave" (è il titolo dell'ultimo paragrafo del saggio di Emiliani) è che oggi "nel pieno della crisi e del declassamento politico" quel "sapere sperimentale creato dalla particolare dimensione della creatività critica e storica" che ha inventato "luoghi di avanzamento scientifico" e la "cultura pragmatica italiana" possa essere eliminato.
Un libro-inchiesta recente, a cura di Sandra Pinto e Matteo Lafranconi (Electa, 2006), individuava la peste sterminatrice dello storico dell'arte "nell'essersi fatto sfuggire i fondamenti stessi della sua forza" e ancora più di recente Salvatore Settis, presentando gli atti del convegno in onore di Adolfo Venturi (Panini, 2008), indicava la salvezza immunitaria nell'aprirsi al confronto con le altre discipline, con gli storici dell'arte degli altri paesi, con la società civile. Nel Dizionario Andrea Emiliani sottolinea una ragione colpevole di autoeliminazione: "Il regime conoscitivo della storia dell'arte, un tempo riservato ai valori dell'arte e della storia, ha preso a sostenere, non solo nella realtà ma anche nei metodi, un lavoro di conservazione appoggiato quasi completamente su volontà di materiale speculazione". Una autoeliminazione, possiamo aggiungere, che, nello specchio dello stato dei tempi, si riflette anche con il presenzialismo quasi esclusivo a favore del mercato editoriale delle mostre.
Partire da questa storia dei fatti e delle persone che agiscono appare allora un ottimo viatico per riconoscere il ruolo d'avanguardia svolto dagli storici dell'arte nel disegnare la specificità italiana di salvaguardia del patrimonio e per rifondare, su basi storiche, la centralità della disciplina nella società odierna. Che di questi richiami alla identità migliore dei tecnici si senta necessità e si pensi di provvedere ne fanno prova i quattro numeri (dal 139 al 142, quest'ultimo di prossima uscita) del centenario del "Bollettino d'Arte" (1907-2007), il periodico che, fondato da Corrado Ricci, ha reso testimonianza della presenza insostituibile del mondo culturale della tutela.
Una monografia (G??? Agosti, Marsilio, 1996) e un convegno su Adolfo Venturi, un convegno (Longo, 2001) e una mostra a Ravenna (Electa, 2008) dedicati a Corrado Ricci; le celebrazioni in onore di Cesare Brandi, le prossime celebrazioni in onore di Giulio Carlo Argan; la raccolta di scritti di Oreste Ferrari curata da Claudio Gamba e preceduta da un Forum sulla catalogazione, edita negli Annali della Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli, fondata da Argan e presieduta da Marisa Dalai Emiliani (Iacobelli, 2007) segnalano l'esigenza dello storico dell'arte moderno di riflessione critica sulle proprie radici.
Del resto, testimoni di irriducibile militanza sono gli stessi autori dei testi del Dizionario: in maggior parte quei soprintendenti, funzionari, giovani studiosi storici dell'arte che si sottopongono ancora oggi alle fatiche, aumentate fino all'impossibile, di tutela e di ricerca.
Va premesso, tuttavia, che l'inevitabile impaginazione in ordine alfabetico non giova al quadro d'insieme: per ricomporre la successione storica bisogna allora ricorrere all'indice che distribuisce per territori di appartenenza e per avvicendamento temporale gli ottantacinque soprintendenti e direttori di istituti centrali biografati, essendo avvertiti tuttavia di una certa disomogeneità. Come spesso accade, infatti, la necessità di stabilire giuste frontiere crea difficoltà e salti concettuali faticosi da recuperare. Si apprezza, ad esempio, la scelta di uscire dalla gabbia cronologica prefissata per inserire la biografia di Adolfo Venturi, fondatore della disciplina storico-artistica e della sua applicazione strutturata alla tutela, e di Antonio Paolucci, primo ministro dei Beni culturali storico dell'arte, ma si sente anche il disagio di non trovare in elenco, in ragione dei criteri adottati, figure di soprintendenti che hanno costruito e diffuso su nuovi fondamenti filologico critici e di metodo la cultura della tutela territoriale (penso ad Andrea Emiliani per Bologna e a Giovanni Romano per il Piemonte), come pure fa sobbalzare il silenzio su Luciano Berti per Firenze e ancora su molti altri, anche se la collocazione oltre il limite temporale ne giustifica l'assenza.
L'indice in sequenza cronologica per istituti regionali o centrali è comunque un'ottima guida per ordinare la lettura in diversi percorsi di ricerca. Si potrà verificare, ad esempio, quanto la vita storica e la consegna metodologica dell'istituto sia stata improntata dalle figure che lo hanno diretto (è il caso di Cesare Brandi per l'Istituto centrale del restauro o di Oreste Ferrari per l'Istituto del catalogo; di Bruno Molajoli e di Raffaello Causa a Napoli; di Cesare Gnudi a Bologna); quanto la forte personalità scientifica di un soprintendente abbia ridisegnato progetti sempre di primo piano nella tradizione d'istituto (è il caso di Carlo Bertelli, succeduto nella Soprintendenza di Milano e nella direzione di Brera a Franco Russoli in una filiera di eccellenza che si apre con Corrado Ricci e prosegue fino a Fernanda Wittgens e Gian Alberto Dell'Acqua); quanto la produzione scientifica dei singoli abbia contribuito in modo determinate al progresso degli studi storico-artistici (penso ai lavori esemplari di Ilaria Toesca); quanto il credito culturale del maestro abbia contato nella distribuzione geografico-culturale di seguaci e allievi nelle sedi di tutela.
A Torino e a Roma figure rappresentative del positivismo storico come Alessandro Baudi di Vesme e Federico Hermanin (finalmente studiato nella sua importanza storica) improntano la cultura d'istituto in dialogo con Adolfo Venturi, i cui allievi, per diverse generazioni, daranno continuità e rinnovamento alla cultura storico artistica: tra questi Guglielmo Pacchioni (puntualmente analizzato e riscoperto nella qualità dei suoi interventi museali e territoriali) ed Emilio Lavagnino (altrettanto egregiamente studiato). A seguire la dislocazione degli allievi di Lionello Venturi, prima, e quindi di Giulio Carlo Argan e quella dei seguaci di Roberto Longhi, la traccia storica si arricchisce di nuove articolazioni metodologiche nella conoscenza e conservazione del patrimonio affrontate con dispute feroci che rimbalzano dalle università alle soprintendenze, con rischi per l'integrità psicologica delle persone, ma certo salutari per la disamina delle ragioni della tutela.
A ben altri pericoli di distruzione era stato esposto il patrimonio artistico durante la prima e la seconda guerra mondiale, quando, come studi recenti hanno chiarito e le biografie egregiamente documentato, solo la dedizione e la consapevolezza dei soprintendenti hanno scongiurato il disastro: da Noemi Gabrielli a Torino, ad Armando Ottaviano Quintavalle a Parma, a Pasquale Rotondi (per me indimenticabile direttore dell'Istituto centrale del restauro per la generosa disponibilità nel favorire la formazione dei giovani perfezionandi in Storia dell'arte), che fronteggiava l'emergenza trovando rifugio per le opere d'arte di Venezia, Milano, di Roma e del Lazio, a Giovanni Poggi a Firenze, a Enzo Carli a Siena, a Giorgio Castelfranco, dispensato dal servizio per effetto delle leggi razziali e coraggiosamente rientrato, raggiungendo il Governo alleato, per dare forza alla ricostruzione del paese, a Giulio Carlo Argan ed Emilio Lavagnino (appena reintegrato come funzionario del ministero da cui era stato allontanato per contatti con gli esuli antifascisti), che ottennero il rifugio in Vaticano di centinaia di casse di opere d'arte provenienti dalle chiese e dai musei italiani. Una storia, quella della protezione del patrimonio, con grande sensibilità raccontata dalla figlia di Lavagnino, Alessandra (Palermo, 2006).
Una bella rivalsa degli storici dell'arte, questa del Dizionario biografico dei soprintendenti, che implicitamente comprende l'intero corpo della tutela e non solo i vertici e che varrà, speriamo, a dare coraggio a quei funzionari che hanno ancora la forza di combattere, senza il lavoro dei quali questa storia avrebbe perso una parte importante del suo valore. Michela di Macco

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